Cinque anni della campagna "Firmo, quindi sono"
Le persone con disabilità che non possono usare le mani per firmare i propri documenti sono costretti a ricorrere a un tutore. FISH supporta l'iniziativa per chiedere un cambio della normativa
Sono passati quattro anni dalla morte di Simone Parma, un giovane con Distrofia Muscolare di Duchenne che nel 2014 ha lanciato la campagna “Firmo, quindi sono” per ottenere il riconoscimento di modalità alternative (come l'impronta digitale o la firma elettronica attraverso l'utilizzo di sistemi informatici) per garantire alle persone con disabilità che non possono muovere le mani la possibilità di apporre la propria firma sotto i documenti. E, di conseguenza, essere autonome nel disbrigo di tutte le pratiche amministrative, senza dover essere costretti a delegare un soggetto terzo.
La vicenda ha avuto inizio nell’ottobre 2014 quando Simone si è recato all’ufficio anagrafe del Comune di Rimini, dove viveva, per rinnovare la carta d’identità scaduta. A causa della sua disabilità, che gli impediva l’uso delle mani, non ha potuto firmare i documenti richiesti e per questo motivo l’impiegata, pur riconoscendo la piena capacità di intendere e di volere di Simone, ha scritto sul documento la dicitura “impossibilitato”. Determinando, di fatto, una condizione di tutela che comportava una limitazione della sua libertà personale e un aggravio dei costi per esercitare i propri diritti. “Ritengo che lo Stato, attraverso gli strumenti tecnologici moderni, debba fornirmi i mezzi per firmare adeguati alla mia situazione e a quella di migliaia di disabili in Italia e non costringermi a delegare un mio diritto”, ha scritto Simone sulla sua pagina Facebook.
Simone è scomparso il 4 novembre 2015. Oggi a portare avanti la sua battaglia è sua madre, Grazia Zavatta: “Mio figlio non voleva avere un amministratore di sostegno, né un tutore. Il nostro obiettivo è quello di eliminare lo stigma della parola ‘impossibilitato’ -spiega-. Alle persone come mio figlio non viene riconosciuto il sacrosanto diritto di decidere autonomamente, privandoli della loro dignità”. Simone aveva proposto tre alternative: l’uso dell’impronta digitale, la firma elettronica da realizzare con l’utilizzo di sistemi informatici o l’uso di un timbro o di un sigillo”.
“Per risolvere la questione è necessario che la parte burocratica venga sciolta a livello statale -commenta Marco Rasconi, presidente di UILDM-. Oggi ci sono tecnologie che permetterebbero a una persona con disabilità che non può usare le mani di apporre la propria firma senza dover ricorrere a un tutore -sottolinea Rasconi-. Eppure, dobbiamo ancora ricorrere alla figura del tutore, una prassi che ha anche un costo economico, dal momento che deve essere effettuata davanti a un notaio”. La campagna “Firmo, quindi sono” ha il sostegno della UILDM, dell’associazione Luca Coscioni e di FISH-Federazione italiana per il superamento dell’handicap.
Grazie all’interessamento di alcuni esponenti politici, il tema è arrivato in Parlamento nel 2016 e nel 2017 l’Agenzia per l’Italia Digitale ha approvato una circolare in cui il direttore ha richiamato le Pubbliche Amministrazioni alla “rimozione degli ostacoli che si frappongono alla realizzazione dell’amministrazione digitale e alla piena ed effettiva attuazione del diritto all’uso delle tecnologie ICT. Tuttavia, manca ancora il passaggio più importante: l’intervento del Parlamento per l’approvazione di una legge che vada a cambiare un meccanismo ormai obsoleto. “Concretizzare con una legge la campagna lanciata da Simone sei anni fa è doveroso verso tutte le persone che si trovano oggi e che purtroppo si troveranno in futuro nella difficoltà di firmare. C’è un marchio di stigma che è assolutamente necessario abolire e si sintetizza in una sola parola: impossibilitato”, conclude Grazia Zavatta.