Ma se non è normale non lo deve portare in mezzo alla gente
Clicckate su questo link e leggete quanto accaduto:
http://blackcat.bloggy.biz/archive/3280.html
È una mail che fa male, come viene titolato. Fa male dentro: non può che ferire tutti quelli che per qualsiasi motivo hanno a che fare con la disabilità. Emozioni: rabbia, indignazione, rancore. Un pugno allo stomaco, che se potesse forse in questo momento verrebbe direzionato verso altro, qualcun altro se solo fosse qui.
Una reazione forte a quelle frasi virgolettate ed in neretto che dicono come il mondo altro si rappresenta e vede la disabilità, fermandosi lì, però, senza andare alle persone che con la disabilità vivono. Una disabilità che è "fuori tempo", troppo lenta perché la società "non è mica qui ad aspettare..." "non ha tempo da perdere" ed è anche fuori "luogo" perché "se non è normale" non può stare in mezzo alla gente. È il motivo per cui nacquero i manicomi e tutte le forme di allontanamento e segregazione ancor oggi presenti. Senza spazio e tempo nessuna identità è possibile. Invisibilità.
Il rischio è però di fermarsi qui, alle emozioni ed alle immediate ed "indiscriminate" reazioni offuscando le possibilità di capire prima e quindi di "fare il giusto". Di cogliere cosa sia stato realmente violato e maltrattato e di re-agire di conseguenza.
Forse una possibilità è fare "due passi", uscendo da noi.Il primo per capire, il secondo per capire come e cosa fare.
Il primo è dentro quel bimbo. Per quanto è possibile (mai!) entrare nel cuore e nella testa di un'altra persona.
Un bimbo di quattro anni con autismo. Ma innanzitutto e fondamentalmente bimbo...con la sua passione, condivisa con la maggior parte dei suoi coetanei per i personaggi del simpatico cartone animato della walt disney, e tra tutti per la sorridente Saetta E come tutti i bimbi con il desiderio di essere immortalati in una foto con il proprio idolo da far troneggiare alla parete della propria camera. E come tutti (o se non altro sicuramente non la minoranza) con un po' di emozione per l'attesa, simbolizzata dall'indossare quella maglietta con il personaggio preferito, per essere ripresi da macchine fotografiche, per mostrarsi. Un bimbo che ha bisogno della mamma in certi momenti critici. Un bimbo che piange se insultato, deriso, umiliato davanti agli altri.
Un bimbo prima di tutto con passioni, desideri, emozioni, bisogni. Un bimbo come tutti i bimbi, come tutti i bimbi che anche noi siamo stati e che ancora - per fortuna - siamo.
Un bimbo come tutti i bimbi, prima ancora che con autismo. E l'autismo, che comunque c'è?
L'autismo rende tutto questo ancor più difficile e sostenibile. L'autismo - fermandosi forse un po' troppo semplicisticamente ad una sintetica definizione condivisa a livello scientifico che fotografa solo i comportamenti caratterizzanti le persone con autismo- è "disturbo qualitativo della interazione sociale reciproca" e "della comunicazione verbale e non verbale, e dell'attività immaginativa". È un "problema" di qualità, non di assenza. Relazioni, comunicazioni ci sono, ma vengono vissute in modo "qualitativamente" diverso. E ci sono anche le emozioni (ebbene sì, le persone con autismo si emozionano!), solo che le persone con autismo fanno fatica ad integrarle. Ha un infinito bisogno di vedere e riconoscere il senso delle cose che succedono e di essere com-presi e pensati, "tenuti".
Quello che per le persone "senza autismo" è semplicemente emozionante e consente la relazione e la comunicazione per una persona con autismo diventa una situazione che si può vivere ma in modo molto più complesso e difficile: è emotivamente più "costoso" e quindi impegnativo. Per una persona con autismo è molto più difficile affermarsi, dire "io".
"Io mi sento" - scrive una persona con autismo "come se ogni emozione mi vibrasse dentro e mi facesse tremare come se prendessi la scossa. Questo mi succede con la gioia, con la rabbia, con la tristezza, con la paura e se le persone a me vicine sono emozionate io riesco a sentire quello che provano. Solo se sento la calma di chi mi circonda riesco a stare tranquillo e concentrato".
Prendiamo quelle emozioni da attesa, da gioia, da esposizione, da giudizio e derisione che noi persone con normalità normalmente proviamo e moltiplichiamole per mille. Questo è quello che prova una persona con autismo. E rispettiamo dunque la sua capacità di "starci" e di provare a "starci". Anzi, verrebbe quasi da dire ammiriamone la dignità, la forza propria di ogni uomo che vuole essere.
Quella difficoltà del bimbo nel contatto oculare, che è causa della reazione del fotografo, ci dice proprio di questa difficoltà nello "stare", nel "reggere", nel "tenere". Comunque ci prova. Anche quel pianto ci dice del male che fa quella ferita, quella causata dal "mondo che crolla". Un mondo che non com-prende."
Un passo dentro un bimbo con autismo per scoprirlo bimbo con la voglia di essere nonostante, con, grazie al suo autismo.
Ed un passo un po' fuori, verso la società e le "regole" che si è data per vivere, per capire come fare a tutelare quel bimbo, la sua persona, la sua voglia di esserlo con la sua disabilità.
La tentazione, grande e diffusa, è di classificare l'episodio come segno di inciviltà, frutto dell'ignoranza o forse della cattiveria di alcune persone. Una reazione emotiva, comprensibile e condivisibile che rischia però di non cogliere e descrivere correttamente ciò che è capitato. Per una volta possiamo farci aiutare dalla legge, dalla legge italiana.
L'umiliazione, il maltrattamento, l'offesa subita da un bambino, qualsiasi bambino, rappresenta un fatto chiaramente illecito, ovvero un comportamento considerato contrario alle norme del nostro ordinamento giuridico. La contrarietà di questi fatti alle norme di legge si manifesta principalmente sotto due diversi profili, quello civilistico e quello penale.
Da un punto di vista penale questo episodio rappresenta indubbiamente un fatto penalmente rilevante, ovvero configura diverse ipotesi di reato (ingiuria, diffamazione, violenza privata, maltrattamenti verso fanciulli). Ciò significa che i genitori del bambino potranno chiedere l'applicazione delle sanzioni penali previste dal nostro ordinamento inoltrando una denuncia-querela alla Procura della Repubblica. Questa denuncia non richiede particolari formalità, né la necessaria assistenza di un Avvocato, ma può essere redatta direttamente e personalmente dagli stessi genitori, i quali non dovranno fare altro che descrivere i fatti accaduti nel centro commerciale, cercando di fornire i maggiori elementi possibili. A quel punto sarà la Procura, attraverso l'ausilio anche delle forze dell'ordine, ad indagare per capire se i fatti si sono svolti in un certo modo e per valutare se tali fatti possano effettivamente integrare i presupposti di un realto. Spetterà poi al Tribunale valutare il caso e decidere con una sentenza se applicare la sanzione penale.
Unico limite alla possibilità di denunciare penalmente i responsabili di questo grave episodio è il termine di 3 mesi entro il quale la querela deve essere presentata. Questo termine vale solo per i reati di ingiuria e diffamazione, mentre per gli altri due reati (violenza privata e maltrattamenti verso fanciulli) non esiste un termine per presentare la querela, in quanto si tratta di reati procedibili d'ufficio (quindi basta una semplice segnalazione del fatto alla Procura fatta da qualsiasi persona, non necessariamente i genitori, interessata alla punizione dei responsabili)
Da un punto di vista civilistico invece i genitori potranno chiedere (sempre alla autorità giudiziaria) il risarcimento del danno morale (la sofferenza provata dal proprio bambino) ed esistenziale (la lesione della dignità e la compromissione alla capacità di relazionarsi), attraverso un ricorso al Tribunale Civile oppure attraverso la c.d. "costituzione di parte civile" nel processo penale. In entrambi i casi i genitori dovranno, a differenza della denuncia penale, avvalersi necessariamente della assistenza di un Avvocato.
La responsabilità di questo grave episodio non coinvolge peraltro i soli autori materiali del comportamento illecito (fotografo e personale commerciale), ma anche gli organizzatori dell'evento e soprattutto il Centro Commerciale presso cui si svolgeva, il quale - in quanto esercizio pubblico - è obbligato a non discriminare le persone con disabilità, come previsto dall'art. 23 Legge 104.1992. In caso di accertata discriminazione l'esercizio pubblico è punito con una sanzione amministrativa pecuniaria e con la chiusura provvisoria.
Qualsiasi organizzazione rimane comunque responsabile del fatto illecito dei suoi dipendenti e questo basta per chiedere l'eventuale risarcimento direttamente al Centro Commerciale
Ci troviamo di fronte in altre parole ad un reato. Qualcosa in più della semplice "indifferenza" o "mancanza di civiltà" o "scarsa educazione".
E' necessario affermare oggi che i diritti umani di quel bambino sono stati violati e che ogni mancanza di rispetto di questi diritti riguarda l'intera società, cioè ognuno di noi.