E che l'uguaglianza dei diritti prevalga (prima parte)
E che l'uguaglianza dei diritti prevalga
Nella società italiana è stato avviato, fin dal 1982, un graduale inserimento delle persone con disabilità, prima nella scuola poi nel mondo del lavoro: ogni passaggio ha creato una nuova e proficua interazione sociale. Nel frattempo, le modificate condizioni di sviluppo economico hanno rallentato questa crescita e hanno portato fenomeni di competizione interna: è di per sé evidente che la difficoltà attuale della creazione del posto di lavoro per i giovani (o per gli over 45) sia un percorso ancor più irto di ostacoli per le persone con disabilità
La Dichiarazione di Madrid 2003 afferma nell'art. 7 che il lavoro è la "chiave per l'inserimento sociale" delle persone con disabilità come una delle forme più importanti nella lotta contro l'esclusione sociale al fine di garantire loro "indipendenza e dignità".
A questo scopo è richiesto un impegno particolare per rafforzare le strutture e le misure già esistenti da parte di tutti gli operatori.
La legge 12 marzo 1999, n. 68 "Norme per il diritto al lavoro dei disabili" (pubblicata nella G. U. n. 68 del 23.3.1999 - Suppl. Ord. n. 57) ha profondamente riformato i principi e le modalità di collocamento obbligatorio con l'integrazione della persona con disabilità attraverso l'art. 2: il "collocamento mirato", lasciando che ciascun territorio definisca l'assetto organizzativo dei servizi per l'inserimento mirato per meglio rispondere alle proprie esigenze con le proprie risorse.
Il sistema per l'inserimento lavorativo mirato della legge 68 è rivolto alle persone in età lavorativa con disabilità fisiche, psichiche, sensoriali, intellettive e relazionali purché abbiano un'invalidità civile superiore al 45% o un'invalidità del lavoro superiore al 33%.
Quando le capacità lavorative della persona con disabilità corrispondono a quelle richieste in un dato posto di lavoro il datore di lavoro ha trovato un buon lavoratore: lo spartiacque non è più tra lavoratore normodotato e lavoratore con disabilità, ma tra il lavoratore che, data una certa mansione, è in grado di svolgerla adeguatamente e quello che non è capace di assumersene la responsabilità. Ogni persona con disabilità deve essere orientata affinché possa avere un progetto di vita, consapevolezza delle proprie capacità, limitazioni, potenzialità e attitudini; conoscere il mercato del lavoro, definire i propri obiettivi esistenziali, sociali e lavorativi. Deve poter accedere ad una formazione per possedere molte conoscenze e competenze intellettuali, tecniche e umane, acquisite in percorsi formativi e opportunamente certificate. Possa maturare un'adeguata esperienza e conoscenza del mondo del lavoro attraverso stage, tirocini, contratti di formazione in situazione. Si senta motivata ed avere chiarezza sui valori del lavoro: contribuire allo sviluppo della collettività, auto-realizzarsi e provvedere al proprio sostentamento e a quello di quanti dipendono da noi. Sia possibile per ogni persona disabile poter assumere il ruolo di lavoratore ed i conseguenti impegni, senza sconti. Inoltre è da sottolineare con forza, sotto un profilo puramente economico per la società, che il passaggio da persona con disabilità che percepisce un assegno di assistenza ed un lavoratore con disabilità che percepisce uno stipendio, paga le tasse e non usufruisce più di nessun assegno di assistenza crea la figura del contribuente determinando così un notevole risparmio per la società. L'incontro tra la persona disabile e il lavoro continua ad essere, nonostante la riforma, un processo seminato di complessità: riguardo alla persona, al contesto sociale che la circonda e alla normativa.
La reale funzione del Servizio competente è quella di supportare i progetti di inserimento lavorativo per tutti i disabili disponibili al lavoro ma soprattutto per quei soggetti che, a causa di una bassa professionalità e di scarse competenze, sono meno spendibili nel mondo del lavoro.
Nel rapporto azienda-disabile-servizi il Pubblico è chiamato a svolgere un ruolo di vera e propria cabina di regia dove gli è richiesto di individuare quale disabile possieda le caratteristiche sia fisico-funzionali che cognitivo-emotive per svolgere una determinata mansione e l'azienda, anziché chiedere che il lavoratore sappia svolgere una mansione o che abbia professionalità elevate con esperienze pluriennali, ha bisogno di sapere se possiede le potenzialità per farlo, accettando anche di formarlo con percorsi adeguati.
La legge indica nel "collocamento mirato" lo strumento cardine della legge 68/99, art. 2e "...si intende quella serie di strumenti tecnici e di supporto che permettono di valutare adeguatamente le persone con disabilità nelle loro capacità lavorative e di inserirle nel posto adatto, attraverso analisi di posti di lavoro, forme di sostegno, azioni positive e soluzioni dei problemi connessi con gli ambienti, gli strumenti e le relazioni interpersonali sui luoghi quotidiani di lavoro e di relazione." (art.2)
Mi domando perché, in occasione del Seminario di presentazione del documento elaborato dal laboratorio milanese del progetto "Rete in movimento" dedicato al tema dell'inclusione lavorativa delle persone con disabilità di venerdì 14 novembre 2008, si debba arretrare di 10 anni e più abbandonando il collocamento mirato, dicendo che d'ora in poi andrà fatto il collocamento obbligatorio per approssimazione?
L'articolo 2 della legge speciale 68/99 afferma che il processo di inserimento lavorativo non può essere affidato ad un unico servizio che, per quanto efficiente, lavori in isolamento: il successo della legge 68 è, dunque, legato alla capacità dei servizi per l'impiego e di quelli sanitari, sociali e formativi di interagire efficacemente tra loro. Solo questa attività interistituzionale permette di attuare l'insieme delle procedure che, ancorché basate sull'imposizione di un obbligo, sono il risultato di una maturazione culturale e sociale della comunità. Tutto questo va nell'ottica del decentramento territoriale attraverso la costituzione delle AFOL, ma siamo proprio così sicuri che basti creare gli sportelli di sensibilizzazione per le aziende e le cooperative e che tutto vada via liscio? La moltiplicazione dei referenti non esperti nè qualificati sta già portando al delirio in termine di normativa poco studiata con indicazioni approssimative e/o sbagliate date ai vari clienti. E questo è solo l'inizio: aspettiamoci, quando avremo 7 agenzie con differenti statuti, l'anarchia dell'applicazione della legge 68/99. Già ci pensa il Ministero, con circolari note solo ai diretti interessati, a stabilire una serie di parzialità che vanno contro il diritto al lavoro dei disabili (cfr: prospetto allegato 1)
Il Servizio Occupazione Disabili da tempo rivendica a più livelli l'abrogazione di tali norme che impediscono il possibile rientro di almeno 8.500 inserimenti mancati, escludendo gli esoneri concessi, anche se forse sarebbe più opportuno, invece di fare la battaglia sull'IRPEF a carico dei disabili per la concessione regionale delle doti, limitare le autorizzazioni degli esoneri penalizzando i versamenti sul Fondo Regionale (con l'aumento del 137% del contributo esonerativo arriveremmo a creare un Fondo pari a 60 milioni di €/annui) in attesa di ripristinare quanto afferma la legge 68/99 all'art.14, comma 4 lettera a): "Il Fondo eroga contributi agli enti indicati nella presente legge, che svolgano attività rivolta al sostegno e all'integrazione lavorativa dei disabili"
E in questo ginepraio di orpelli noi avanziamo con il decentramento senza una cabina di regia centrale, non governata da chi fino ad oggi ha svolto la funzione legislativa per l'applicazione della legge in qualità di servizio competente ?
Forse va ripensato un decentramento, incentrato su una contaminazione seria delle Agenzie, seminando cultura sociale, procedure applicate e quanto a livello centrale è stato applicato e sperimentato in 10 anni dalla riforma della legge 482/68 da un servizio, riconosciuto come eccellente in tutt'Italia (dal Ministero alle Regioni, alle singole Province nonché dalle parti sociali, dalle coop. sociali, ecc.)
Tutto questo attraverso:
1. Introduzione e potenziamento dell'inserimento lavorativo tenendo conto le diversità di servizi presenti e di territorialità;
2. sviluppo della rete: dal territorio al centro e viceversa;
3. maturazione dell'identità delle AFOL come spin off del Servizio Occupazione Disabili;
4. Creazione dell'omogeneità tra loro dei singoli interventi delle AFOL in continuità con il centro che governa.
Precedentemente la materia era normata dalla legge 482 del 1968, che, a fronte degli alti obiettivi numerici proposti, si era dimostrata per molti aspetti inefficace ed era rimasta, nei risultati, inapplicata: l'unico elemento più significativo di continuità tra la 68/99 e la normativa precedente è che il diritto al lavoro delle persone disabili continua ad essere tutelato attraverso l'obbligo, per i datori di lavoro, di garantire a questa categoria di cittadini l'accesso ad una quota di assunzioni, proporzionale alle dimensioni del proprio personale dipendente. Al di là di questo aspetto di fondo, la nuova normativa segna un importante scarto rispetto alla 482/68, soprattutto in ciò che riguarda le metodologie di avviamento al lavoro delle persone disabili: essa, infatti, si basa sull'assunzione di diversi strumenti propri delle politiche attive del lavoro.
La legge 68/99 si pone il duplice obiettivo di rispondere all'esigenza di lavoro della popolazione disabile senza che ciò divenga, per le aziende e gli enti pubblici vincolati, un mero costo, bensì un inserimento proficuo di soggetti produttivi.
Compito del collocamento mirato quindi non è solo di individuare un corretto incontro tra le caratteristiche della persona e quelle della mansione, ma, ove ciò non sia immediatamente possibile, di porre in campo una serie di risorse e di servizi atti a permettere sia alla persona di adeguare le proprie competenze, sia all'azienda di intervenire su aspetti strutturali e di organizzazione del lavoro per rendere accessibile la mansione designata.
Ciò non è una novità assoluta della legge 68/99 non solo perché si pone nel solco della più generale riforma del collocamento ordinario, ma anche perché recepisce i contenuti della Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate n.104 del 5 febbraio 1992: "[..]ai fini dell'avviamento al lavoro, la valutazione della persona handicappata tiene conto della capacità lavorativa e relazionale dell'individuo e non solo della minorazione fisica o psichica. [..]".
Alla luce di tale quadro normativo, il ruolo dei servizi per l'impiego e degli "uffici competenti" assume una valenza diversa rispetto al passato, passando da una logica basata sull'adempimento di obblighi formali-burocratici riconducibili essenzialmente al controllo, alla promozione di politiche attive volte all'ottenimento di risultati, soprattutto qualitativi, nel campo dell'inserimento lavorativo delle persone disabili. L'avviamento al lavoro viene realizzato attraverso un giusto incontro tra le caratteristiche di una persona disabile e quelle di una mansione in cui si possa effettivamente impiegare, rispondendo in questo modo alle esigenze di entrambi i soggetti coinvolti (i disoccupati disabili ed i datori di lavoro) e ampliando le possibilità di successo e durata temporale.
E' evidente che solo inserimenti in lavori "veri", nel rispetto delle possibilità e non nella ricerca di persone abili/disabili per mansioni irraggiungibili, delle capacità e dei limiti del soggetto possono rispondere a tali esigenze.
Un altro ruolo essenziale per tutelare disabili e aziende viene dato al Comitato Tecnico Provinciale: esso è composto da funzionari provinciali, esperti del settore sociale e della formazione professionale, medici esperti nel settore legale e del lavoro. I compiti e le funzioni del Comitato Tecnico Provinciale sono declinati dagli art. 6, 10, 12 della legge 68/99 e dagli art 7 e 8 del DPCM 13/01/2000 e attengono principalmente agli accertamenti di carattere sanitario per le persone disabili con particolare attenzione al contesto lavorativo in cui il soggetto è inserito. Importante funzione in questo senso è quella dell'accertamento della compatibilità della mansione che può essere richiesta sia dal lavoratore disabile che dal datore di lavoro. Il Comitato Tecnico Provinciale di Milano, seguendo la sollecitazione della Commissione europea (regolamento del 12.12.02 n. 2204/2002) ed in supporto ai piani provinciali di recente attuazione, ha provveduto a dare una definizione di disabili "deboli" per i quali può rendersi necessario un aiuto permanente che ne consenta non solo l'assunzione, ma anche la permanenza sul mercato del lavoro. Al fine di favorire coloro che si trovano in situazioni di maggiore difficoltà vengono per tanto considerati come 'deboli' le seguenti categorie di persone:
a) persone in età lavorativa affette da menomazioni psichiche e/o portatori di handicap intellettivo con qualunque % di riduzione delle capacità lavorative (cfr. tabelle - allegato 2)
b) persone in età lavorativa affette da menomazioni fisiche e sensoriali che comportino una riduzione delle capacità lavorative pari o superiore al 74%, compresi i non vedenti, colpiti da cecità assoluta o con un residuo visivo non superiore a 1/20 a entrambi gli occhi anche con eventuale correzione e i sordomuti.
Inoltre, se gli appartenenti alle succitate categorie a e b, si trovassero ad avere una, o più di una, delle seguenti condizioni "aggiuntive" ciò costituirà un criterio di precedenza all'avviamento lavorativo: età superiore a 50 anni, necessità di inserimento con il supporto di un Servizio di mediazione come da dichiarazione delle Commissioni per l'accertamento delle Invalidità Civile nelle "relazioni conclusive" L.68/99 (a causa di difficoltà in particolar modo di tipo relazionale), soggetti con alle spalle almeno due tentativi di inserimento falliti, oppure da sempre senza lavoro, con bassa scolarità, con il riconoscimento dello stato di handicap in situazioni di gravità ai sensi dell'art. 3 comma 3 della legge 104/92.
C'è poi una fascia ulteriore di popolazione disabile che incontra serie difficoltà ad inserirsi nel mondo del lavoro per caratteristiche sociali e anagrafiche penalizzanti.
Tra questi vi sono coloro che a causa di un incidente invalidante non possono più esercitare l'unica professionalità che avevano maturato.
Naturalmente anche le persone disabili detenute rientrano in un settore che incontra estrema difficoltà ad impiegarsi all'uscita dal carcere, ancor di più se all'handicap sociale della detenzione si somma quello della disabilità.
Rientrano in queste categorie anche le persone ultraquarantenni senza scolarità né professionalità.
Per promuovere l'assunzione di queste persone la legge già definisce una serie di incentivi economici, che i Servizi devono potenziare attraverso la definizione in convenzione di bonus che possano permettere al datore di lavoro di dilazionare ulteriormente il proprio periodo di messa in regola rispetto agli obblighi di copertura.
Questa attenzione alle aree a maggior rischio di emarginazione sociale segnala la consapevolezza di un pericolo insito nella struttura stessa della legge.
La legge 68/99, liberalizzando in parte l'assunzione dei lavoratori disabili, permette di individuare un miglior incontro domanda-offerta di lavoro, ma d'altra parte, proprio per questo, rischia di non riuscire a coinvolgere in questo processo le persone meno adatte all'inserimento lavorativo, le stesse che già oggi vivono in una condizione di maggior esclusione sociale. Infatti, il forte aumento delle possibilità di assunzione nominativa per tutte le mansioni, a prescindere dal loro livello di professionalità, se da una parte lascia maggior spazio all'incontro spontaneo dei soggetti, dall'altra vincola buona parte dei disabili a sottoporsi ad un processo di selezione preliminare all'assunzione.
Di seguito fotografo uno spaccato dei movimenti degli avviamenti e delle relative cessazioni dei disabili psichici come serie storica nel periodo 2004-2006: (cfr tabelle allegato 3) da cui si evince quanto la funzione del collocamento mirato, mediato dai servizi, sia importante per garantire il mantenimento del rapporto di lavoro (cfr grafico allegato 4)
Claudio Messori, per molti anni responsabile Servizio per l'Occupazione dei Disabili della Provincia di Milano