Riflessioni ad alta voce
"Esimio Direttore,
chi vi scrive è un essere vivente che condivide il seguente pensiero: "disapprovo quello che dite, ma difenderò
fino alla morte il vostro diritto di dirlo", come ebbe a dire il grandemente e lungimirante Voltaire.
Sono anche un volontario Emergency, congenitamente disabile. Prima la tanto chiacchierata ammissione
alle Olimpiadi di Oscar Pistorius, atleta sudafricano disabile con amputazione bilaterale degli
arti inferiori che si avvale di protesi al carbonio; poi il piazzamento al 16esimo posto nella 10 Km di
nuoto di fondo della nuotatrice sudafricanaamputata ad una gamba,Natalie Du Toit, infine il flebile e
caritatevole interesse dei media per le Paralimpiadi, mi ha instillato una considerazione. Ho la sensazione,
vissuta, che la "categoria" (e chiedo venia per tale classificazione) delle persone con disabilità sia
alla continua ricerca di una propria identità, che sembra avere smarrito o che intenda trasformare. Le
vite, le azioni e le vicende di persone con disabilità, narrate e rappresentate dai media, si incentrano
quasi sempre (malauguratamente se vittime d'episodi di cronaca nera) su chi rappresenta una "specificità
nella disabilità", come a dimostrare la propria "eccezionalità" nella disabilità stessa.
La continua rappresentazione di sportivi disabili, da una parte mi suscitano grande e profonda ammirazione,
dall'altra non capisco perchè si devono mostrare le proprie incapacità per avvalorare ed
esaltare traguardi raggiunti. Senza voler sottacere o nascondere alcunché, mi sembra che sia dignitoso
mostrare la persona con disabilità in tutto il suo essere umano,prescindendo dall'estremizzazione del
suo carattere e dei suoi limiti. Che l'"handicap", ossia "l'ineguaglianza delle prestazioni", derivante da
menomazioni o patologie a carico di una persona sia in realtà commisurato fortunatamente non più e
non solo alla valenza di questa menomazione o disturbo, bensì al fatto che la persona viva, operi e lavori
in un ambiente sfavorevole o favorevole, è cosa ormai assodata. Si può concludere quindi che la
disabilità è una determinata condizione in un ambiente sfavorevole. Per le persone che vivono con un
handicap, la semipovertà causa insomma una forma secondaria di handicap, legata alle condizioni di
vita precaria, agli impedimenti sociali (non solo architettonici), all'accesso, alla salute. Gli individui con
disabilità - come esseri umani e perché esseri umani - hanno diritti primari e naturali che, proprio perché
tali, sottendono prerogative umane insopprimibili che lo Stato deve solo riconoscere.
Sono quei diritti che nascono con l'uomo e con lui muoiono, costituendo la garanzia vitale dei beni insostituibili
e inalienabili della vita, dell'integrità fisica e psichica, dell'uguaglianza e della libertà, della
vita stessa. Ebbene, in tale contesto la società mostra un'attenzione molto parziale nei confronti di tutti
noi persone con "normale disabilità" e soprattutto impotenti o incapaci, forse, a valorizzare, o direi più
precisamente, a mostrare, le nostre non-normalità. Noi disabili, siamo non di rado circondati da leggi che
sembrano di specificità e correttezza impareggiabile, ma che al momento della loro applicazione, divengono
strumenti quasi devastanti della nostra dignità di vita. Molti di noi,se non avessimo l'affetto, la vicinanza,
l'amore dei nostri familiari e di quelli che con abnegazione si impegnano con noi (e che io ho il
privilegio di saperli amici veri!), certo non sarebbe lo Stato a permetterci di condurre una vita che si può
soltanto definirsi tale. E' pleonastico affermare che tutti hanno in sé delle potenzialità che possono evolversi
o essere sviluppate a prescindere dalle proprie condizioni psicofisiche. Anche il mondo della "normalità" è pieno di individui con una spiccata ed emergente sensibilità nell'arte, nella cultura, nello sport
e quant'altro; ciò, però, non significa che la "normalità" sia costituita da tali eccezionalità, altrimenti vorrebbe
dire banalizzare la normalità stessa. Ora, credo che nel mondo della disabilità debba essere applicato
lo stesso concetto in maniera più profonda e responsabile. Siamo individui che alle quotidiane difficoltà
della vita devono aggiungere quella di un corpo non al top, e di barriere create (non sempre volontariamente)
dalla società. È proprio questa, paradossalmente, la "normalità della disabilità". Mi piacerebbe
molto non vedere più la "diversità nella diversità". Vorrei vedere, sentire, vivere il "disabile normale",
non discriminato. La persona che non sempre può frequentare la scuola, che difficilmente può lavorare,
che a volte non può uscire per le eterogenee barriere: questo è il "normale disabile". Tutto l'amore
e l'attaccamento per la nostra vita deve quotidianamente fare i conti con gli sguardi curiosi degli
altri e con il dover certificare (nel senso letterale del vocabolo!) per poter veder riconosciuti e tutelati i
propri diritti. Sperticatamente grazie per il tempo dedicatomi,
cordiali saluti "
di Luigi Zappa di Albairate