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Persone con disabilità

A cura di Ledha

Archivio notizie

06/02/2013

Qualche traccia per il futuro della residenzialità per le persone con disabilità

Una ricerca condotta sul tema dei diritti umani in strutture residenziali, di un gruppo di studenti di Programmazione e gestione delle politiche e dei servizi sociali, apre una riflessione sul futuro della residenzialità in Lombardia.

 

Il documento "Non autosufficienti con diritti. Vecchie e nuove forme di istituzionalizzazione in Lombardia alla prova dei diritti umani" tratta il tema della residenzialità di persone con disabilità e nasce da una più ampia ricerca condotta sul tema dei diritti umani in strutture residenziali, da un gruppo di studenti della laurea magistrale in Programmazione e gestione delle politiche e dei servizi sociali a.a. 2012-2013" - Università degli studi di Milano Bicocca.

 

In Lombardia l'area della non autosufficienza conosce da circa un decennio un'accelerazione nei processi di istituzionalizzazione come risposta ai bisogni sanitari e assistenziali delle persone non autosufficienti, per le quali il supporto famigliare o socio-assistenziale domiciliare non è più in grado di garantire adeguate forme di sostegno.

Nel corso dell'ultimo decennio abbiamo assistito all'esplosione di due fenomeni:

L'attività di riordino delle unità d'offerta sociosanitarie della Giunta regionale ha sostenuto la crescita delle disponibilità di "posti letto" nelle strutture di carattere residenziale e sanitario destinate rispettivamente alle persone anziane (RSA) ed alle persone con disabilità (RSD).

Si è trattato di una forma di istituzionalizzazione che è avvenuta in un contesto culturale favorevole a questo tipo di risposta alla domanda di assistenza: una risposta considerata pragmaticamente efficace a rispondere ai bisogni delle persone con elevati carichi assistenziali e di sollievo ai contesti famigliari di appartenenza.

 

Attraverso questo lavoro è sembrato opportuno verificare se e in che misura queste strutture, le cui caratteristiche di dimensione e di funzionamento appaiono sostanzialmente diverse dai "vecchi" istituti e possano garantire il rispetto dei diritti umani fondamentali delle persone in esse ospitate.

 

Quali sono le variabili in campo? Che cosa condiziona il funzionamento delle strutture, che cosa eventualmente impedisce che siano rispettati i diritti fondamentali?

Riportiamo l'esito delle interviste effettuate in 3 RSD lombarde, a ospiti (3), familiari (2) e operatori (4). Il campione non è quantitativamente rappresentativo dell'universo delle RSD lombarde, ma ci consente di mettere a fuoco alcune questioni che LombardiaSociale.it ha trattato in avvio del lavoro di ricerca.

 

I motivi dell'ingresso in RSD

Dalle interviste effettuate risulta che l'ingresso in RSD è spesso dovuto all'improvviso venir meno delle capacità assistenziali delle famiglie anche se, alcuni ingressi sono invece segnalati come preventivi, effettuati cioè quando i genitori sono ancora viventi e in discrete condizioni di salute, al fine di evitare situazioni tragiche e soluzioni emergenziali future.

In entrambi i casi si vede bene come la variabile dipendente siano le famiglie che comunque fino ad un certo punto si prendono cura completamente della persona. Nel momento in cui la famiglia diventa fragile e non è più in grado di sostenere appieno la cura o per prevenire situazioni difficili dopo, si accompagnano inserimenti in residenzialità ad elevata intensità. Difficile pensare ad altro se nel corso della vita non sono state messe in campo altre energie per sostenere quelle stesse famiglie: l'RSD è la soluzione migliore, o almeno quella possibile, anche se i costi sono rilevanti e quindi non sempre sostenibili dalle famiglie, che hanno sempre bisogno di pensare ed organizzare il Dopo di Noi, per non lasciare i propri figli senza risorse.

Un altro elemento interessante che emerge dalle interviste è che sembra poco rilevante, una volta entrati in struttura, il percorso precedente all'ingresso. Gli operatori segnalano di non conoscere le vere motivazioni che portano le persone ospiti a vivere in RSD. I familiari da parte loro raccontano di aver cercato di tenere la persona a casa finchè è stato possibile "Eravamo sempre in tensione e preoccupati" a volte con toni drammatici "Sono dovuta cadere a pezzi prima di prendere questa decisione". In generale "E' stata una decisione molto sofferta, ma la situazione a casa era insostenibile, ma non l'ho mai abbandonato."

Le famiglie che decidono per l'inserimento in struttura dunque vivono ancora questo passaggio come una cesura, una scelta inevitabile e molto sofferta, un momento di passaggio tra un prima e un dopo. Non sembra esserci alcuna continuità, nemmeno nelle percezioni dei familiari, che sembrerebbe confermata anche dalla non conoscenza degli operatori della vita degli ospiti prima dell'arrivo in struttura.

Gli ospiti intervistati, che rappresentano per l'alto grado di funzionamento cognitivo solo una parte della totalità degli ospiti, rivendicano la titolarità della loro scelta, senza però poter fare a meno di constatare le difficoltà familiari "Siamo stati abbandonati dai nipoti" e le sofferenze connesse al cambio di vita "Mi manca molto la mia famiglia", "All'inizio l'ho presa male ma adesso mi sono abituata."

 

La vita in RSD

Il lavoro di ricerca racconta la vita in RSD individuando 4 dimensioni di analisi: il diritto alla salute, le relazioni interne alla struttura, le relazioni con le persone e realtà esterne che entrano in struttura, le relazioni degli ospiti con le realtà esterne.

L'analisi quantitativa (sebbene fatta su un numero esiguo di persone, la consideriamo rappresentativa delle realtà incontrate nell'ambito della ricerca) fa emergere subito un'area debole (anche se comunque non insufficiente): quella delle relazioni con le realtà esterne alla struttura. Sull'altro versante una soddisfazione più che buona dei bisogni primari (diritto alla salute) e un'ottima relazione con gli esterni che entrano in struttura. I voti tra operatori e utenti sono in linea, differenti, ma comunque non vi è una rappresentazione distante tra gli uni e gli altri.

(omissis)

La tutela del diritto alla salute è uno dei punti di forza delle strutture che sono Residenze Sanitarie e che quindi hanno prioritariamente la mission di garantire le condizioni di salute ottimali delle persone ospiti.

Le strutture definiscono l'assistenza sanitaria "l'asso nella manica" della struttura, un fiore all'occhiello promosso con orgoglio da coordinatori e dirigenti, ma condiviso anche da operatori e familiari. Nell'idea che "se fossi stato a casa il medico mi vedrebbe il giorno dopo, mandandomi in ospedale".

 

Le relazioni interne sono valutate da tutti buone e soddisfacenti, ma tra ospiti e operatori il quadro relazionale è comunque complesso, si compone di tante variabili, a volte la relazione è valutata positivamente "nonostante" alcune difficoltà iniziali soprattutto nelle relazioni tra ospiti che condividono medesimi spazi.

Nelle RSD emerge dalle parole di coordinatori e operatori e con maggior nitidezza come il rapporto tra ospiti ed operatori dipenda in gran parte dalla professionalità di quest'ultimi e come ospiti e familiari abbiano delle attese abbastanza precise su come dovrebbe essere un operatore. Le aspettative non sono solo legate alla soddisfazione di bisogni primari e di salute, ma anche e soprattutto alla soddisfazione della dimensione relazionale che non può essere considerata separatamente come 'altro', perché sarebbe come 'scomporre' la persona con disabilità in base alla tipologia di bisogni prevalenti.

In generale il clima è valutato positivamente, anche se non mancano attriti, conflitti tra operatori e ospiti, ma anche tra gli stessi ospiti: "[...] Le situazioni sono molto diverse: non posso far molti discorsi con gli altri ospiti, sono io che devo capire loro".

 

Le relazioni con le persone e le realtà esterne che entrano in struttura

In RSD accedono i volontari e i familiari: tra i volontari "alcuni della Croce Rossa" e in genere "le relazioni sono buone". In questi casi i volontari non sono indispensabili per il funzionamento essenziale della struttura, ma "partecipano ed organizzano attività sia interne che gita e uscite e gestiscono un paio di serate al mese". "Le relazioni con i volontari sono buone, perché gli utenti vedono che con i volontari possono fare quello che desiderano".

A seconda delle strutture l'accesso dei parenti può essere libero (accettando quale compromesso quello di avere un po' di confusione anche in momenti delicati della giornata) oppure disciplinato da orari.

La presenza di volontari e la flessibilità di orari per l'ingresso di familiari sembrano essere due variabili importanti, che determinano il buon clima e la soddisfazione delle persone che vivono nelle strutture: quando "ci sono tanti volontari e gli orari di visita sono elastici" si nota un deciso miglioramento del clima della struttura.

 

Relazioni degli ospiti con le realtà esterne

Anche per le RSD che organizzano attività esterne, uscite, passeggiate, oppure in quelle dove gli ospiti fanno passeggiate con i parenti, è inevitabile constatare che "in realtà rimangono molto tempo (qui) dentro". Per questo motivo appena è possibile "si cerca di far uscire gli ospiti sia con gli operatori che con i volontari".

Alcune (poche) persone svolgono attività occupazionali esterne. Taluni frequentano strutture diurne come il centro socio educativo o associazioni nelle quali si impegnano con piccoli lavoretti. "I ritorni a casa sono liberi" ed avvengono in genere la domenica o durante i periodi festivi.

 

Conclusioni

Questa interessante analisi ci consente di mettere in luce alcuni aspetti, partendo dalle caratteristiche delle RSD, con l'obiettivo di riflettere su alcuni passaggi in particolare:

 

I punti critici risultano essere quelli noti ed in qualche modo attesi:

 

Sarebbe invece importante e significativo che le questioni emerse da ricerche di questa natura potessero in un prossimo futuro essere poste al centro del dibattito pubblico e contribuire a determinare scelte ed inversioni di tendenza anche nella definizione degli indicatori necessari per ottenere l'accreditamento e quindi fondi pubblici.

Per trovare nuove risposte, soddisfacenti, è però certo che sarà necessario restituire voce e spazio a chi in questi luoghi vive e lavora.

 

 

Articolo già pubblicato su LombardiaSociale.it


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