Essere semplicemente cittadini
Una lunga chiacchierata con un gruppo di ragazzi, una telecamera e il racconto di Franco Bomprezzi. Per parlare di utopia, linguaggio, diritti, sfide.
“Se non abbiamo dei sogni non li possiamo realizzare. Un'utopia è – letteralmente – un luogo che non c'è. Ma che puoi costruire esattamente come piace a te. Ma l'utopia nasce solo nel momento in cui sei libero dentro. In Italia abbiamo costruito tante cose perché, per fortuna, ci sono stati tanti sognatori”. Parla di utopia, Franco Bomprezzi nella lunga chiacchierata che ha avuto a Milano una sera del settembre 2011 con un gruppo di ragazzi provenienti dalle regioni del Sud Italia nell'ambito del progetto “Lab.Giovani. Risorse e idee dei giovani del Sud”. Parla di diritti, di sogni, di lotte, di impegno, del ruolo e dell'uso delle parole. Una lunga chiacchierata che, grazie a FISH Onlus e Visioni sociali, è diventata un video dal titolo “Essere semplicemente cittadini (un ricordo di Franco Bomprezzi)”.
Ve ne proponiamo alcuni estratti
“Scrivo spesso di un paradosso che esiste nel mondo della disabilità. Per ottenere tutta una serie di prestazioni e di servizi, dobbiamo farci etichettare e ottenere una certificazione. Tutto questo è inevitabile. Ma è proprio qui che nasce il paradosso: non possiamo fare a meno di questo, se vogliamo vedere riconosciuti i nostri diritti. Ma quando siamo definiti in quanto persone con disabilità siamo fregati perché non siamo più normali. Siamo un'altra cosa. Siamo una parte separata da. E questo crea la grande difficoltà del vivere oggi. L'obiettivo deve essere quello di far sparire le definizioni, ed essere semplicemente cittadini senza discriminazioni. Dobbiamo difendere i nostri diritti e, al tempo stesso, non sentirci vincolati da questa definizione”.
“Le parole che usiamo sono la nostra storia: il cambiamento delle parole ha accompagnato l anostra storia, la storia dei diritti e delle leggi. Oggi però siamo costretti a ricominciare da capo. E a confrontarci con persone che ci dicono brutalmente: Non è un problema quali parole si usano. I ciechi sono ciechi....
Una brutalità del linguaggio che è figlia di chi detiene il potere economico. Che rientra pienamente in quel meccanismo di comunicazione globale in cui si dice: Basta con il welfare, non ce la possiamo fare!. Avete notato quali parole si usano per la disabilità? Invalidi, portatori di handicap... siamo tornato alla terminologia di vent'anni fa. E non è un caso. Noi questa cosa l'abbiamo capita e la stiamo combattendo”.
“Tante volte mi viene detto: Tu sei fortunato, fai il giornalista. Ma io me la sono cercata la mia fortuna, ho combattuto per la mia fortuna e ho fatto le mie battaglie in anni un cui nemmeno c'erano certe leggi. Non c'erano quelle cose che questa generazione, giustamente, oggi ha perché noi in passato abbiamo combattuto le nostre battaglie.
Quello che vorrei vedere oggi sono ventenni, trentenni che ci sbattano sul tavolo battaglie più belle delle nostre, che sono capaci di vincerle e di fare cose che noi non siamo stati capaci di fare. Oggi ci sono strumenti come internet e delle potenzialità incredibili: non ci sono più albi. Chi ha meno di trent'anni e ha una disabilità non ha solo diritti, ma anche dei doveri nei confronti degli altri. Non deve pensare solo a sé stesso. Tornate a casa, e fate delle battaglie”.