Dislessia: le diagnosi sono scientifiche. E il numero reale resta sottostimato
Un commento dell'Associazione italiana dislessia (Aid) che entra nel merito delle polemiche che hanno seguito la pubblicazione del libro del pedagogista Daniele Novara. Aquino: "I DSA non sono un prodotto di false diagnosi".
I disturbi di apprendimento (DSA) non sono “un problema di medicalizzazione della scuola e un prodotto di false diagnosi”. L’associazione che riunisce persone con dislessia, i loro familiari, medici e insegnanti (Associazione italiana dislessia – Aid) entra nel merito delle polemiche nate in queste settimane dopo l'uscita del libro del pedagogista Daniele Novara, “Non è colpa dei bambini”, in cui l’autore denuncia una crescita abnorme delle certificazioni di disturbi di apprendimento (che incidono sulla capacità di leggere, scrivere e calcolare) tra gli alunni delle scuole italiane.
Lo fa con un documento pubblicato sul proprio sito, a firma di Giuseppe Aquino, formatore tecnico Aid e membro della Commissione esecutiva del nuovo progetto di produzione di “Linee guida sui DSA”. Un documento con cui vengono ribaditi due concetti essenziali. Il primo è che i DSA sono riconosciuti dalla legge 170/2010, che nasce con l’obiettivo di tutelare gli studenti, dando risposte alle loro specifiche caratteristiche di apprendimento. Inoltre, gli alunni e gli studenti con disturbi dell'apprendimento, per poter usufruire delle misure previste dalla legge 170/2010 devono essere in possesso di una diagnosi certificata di DSA.
Secondo -fondamentale- concetto che viene ribadito da Giuseppe Aquino, è il fatto che le diagnosi di dislessia vengono eseguite alla luce delle raccomandazioni cliniche fornite dalle Conferenze di Consenso. “La diagnosi, quindi, viene effettuata da un team multiprofessionale (NPI, psicologo, lgopedista) secondo precisi criteri diagnostici –scrive Aquino-. E, per evitare la rilevazione di falsi positivi, prevede l’utilizzo di test standardizzati, sia per misurare l’intelligenza generale, che l’abilità specifica”.
Inoltre, per una maggiore certezza diagnostica e per evitare il pericolo che la diagnosi possa essere inutilmente inflazionata “le raccomandazioni cliniche hanno stabilito soglie più rigide rispetto al altri Paesi per poter considerare deficitaria la prestazione”.
In base ai dati forniti dal ministero dell’Istruzione, il numero degli alunni con certificazione di Disturbi specifici di apprendimento è in aumento. “Ma questo accade anche perché, dopo la legge 170/2010, la scuola ha un ruolo determinante nella presa in carico degli alunni con DSA e ad essa sono state richieste competenze organizzative, metodologiche, didattiche e valutative che hanno portato a una maggiore attenzione nei confronti degli alunni con difficoltà di apprendimento -scrive Aquino- e quindi a una maggiore individuazione di casi sospetti di DSA e alla loro segnalazione alle famiglie con il conseguente riferimento ai servizi sanitari per avviare il percorso per un’eventuale diagnosi”.
Ultima, ma non meno importante, una riflessione sui dati. La percentuale di alunni con diagnosi DSA nella scuola supera di poco il 2% a fronte di un’incidenza media che, secondo le indagini epidemiologiche riportate dai dati scientifici nazionali e dalla Linee guida dell’Istituto Superiore di Sanità, si attesterebbe attorno al 3,5% dell’intera popolazione scolastica. “Non ci troviamo, quindi, di fronte a una sovrastima dei casi di dislessia. Quanto, piuttosto, alla presenza ancora di una grande parte di sommerso”, conclude Giuseppe Aquino.