Draghi, maghi e carrozzine. Quando la disabilità entra nel mondo dei giochi di ruolo
"Dungeons&Dragons" ha circa 20 milioni di giocatori in tutto il mondo, comprese delle persone con disabilità. Che vogliono vedersi rappresentate
"Chiunque può essere un avventuriero". Con queste parole Sara Thompson ha presentato "The Combat Wheelchair" la "carrozzina da combattimento" da lei appositamente disegnata per inserire all'interno di "Dungeons and Dragons" (un gioco di ruolo, animato da una comunità di circa 20 milioni di giocatori in tutto il mondo) la possibilità di utilizzare anche personaggi con disabilità. La "Combat Wheelchair", scrive Sara Thompson nella presentazione del suo progetto, "è stata progettata sia per le attività quotidiane sia per il combattimento durante le avventure. Può essere adattata in base alle esigenze di chi la usa con una varietà di upgrade intuitivi". Sara, che è una giovane donna con disabilità, attenta al tema della rappresentazione, ha creato quello che nel gergo tecnico di "D&D" si chiama "homebrew", ovvero una modifica o un'implementazione al gioco rispetto alle "regole della casa" rilasciate dalla casa produttrice. Inoltre, ha messo la "sedia a rotelle da combattimento" gratuitamente a disposizione di tutti gli altri giocatori di "D&D".
A questo punto, però, è necessaria una premessa. "Dungeons & Dragons" non è un videogioco, ma un gioco di ruolo in cui più persone interpretano diversi personaggi (in questo caso umani, elfi, mezzelfi, mezzorchi e halfling) e affrontano una serie di avventure utilizzando i diversi poteri e abilità. A dettare le regole del gioco un "master" che -libro delle regole alla mano- guida i giocatori attraverso una serie di sfide. I giocatori, quindi, si immedesimano nel personaggio che scelgono. E decidono quali caratteristiche e quali abilità questo debba avere: se debba essere particolarmente forte o molto saggio, se debba avere la capacità di maneggiare armi da guerra o di lanciare incantesimi.
Nel giro di pochi giorni, questo piccolo progetto ha infiammato il dibattito nelle chat e nelle reti sociali di appassionati giocatori. Sara Thompson ha precisato che la sedia “non è stata creata per far sembrare 'migliore' un personaggio disabile rispetto a uno non disabile. È stata pensata per permettere a personaggi con disabilità di affrontare le avventure coì come fanno i personaggi normodotati".
Molti si sono espressi a favore dell'iniziativa. Una giovane giocatrice ha scritto su Twitter: "Ho pianto quando l'ho vista. Ora posso giocare con un personaggio di D&D che mi assomiglia". Pareri positivi anche da parte di uno degli autori di "D&D”, mentre Matthew Mercer (personaggio televisivo statunitense e celebre "master") l’ha definita “uno sballo”. Per dare un’idea di chi sia Mercer per i giocatori di "D&D": immaginate Cristiano Ronaldo che mette “like” al video del vostro goal segnato durante una partita all’oratorio. Altri giocatori invece hanno giudicato "stupida" l'iniziativa e hanno contestato la presenza di "una carrozzina moderna all'interno di un'ambientazione fantasy medioevale". Una serie di commenti, condensati in un articolo pubblicato da un sito specializzato, vanno da "lo butterei giù da una scogliera" (sottinteso, il personaggio in carrozzina) a "non è necessaria un'orda di goblin a fermarlo: basta una rampa di scale".
Sebbene animata, la discussione sulla "Combat Wheelchair" è rimasta confinata nell'ambito degli appassionati del gioco di ruolo, anche in Italia. Eppure, questa vicenda può darci un interessante spunto di riflessione come sottolinea Sofia Righetti, laureata in filosofia e specializzata in disability studies che sulla sua pagina Instagram ha scritto: “La narrazione che si da della realtà è fondamentale. Perché la narrazione, qualsiasi sia il contesto (film, libri, serie TV, giochi di ruolo, giornali) permette alle persone di esistere validandone l’esistenza nella cultura di massa, e questa deve andare di pari passo con una giusta rappresentazione. Insomma, non basta narrare l’esistenza delle persone, bisogna anche rappresentarle in modo corretto e non stigmatizzante”.
Una vicenda che ricorda il lancio da parte della LEGO del primo omino in carrozzina (era il marzo 2019): anche in questo caso l’iniziativa era nata dal basso, dalla spinta di tre mamme inglesi riunite nell’associazione “ToyLikeMe” che hanno raccolto più di 20mila firme per chiedere alla casa produttrice danese di inserire un personaggio “diverso” tra i celebri omini gialli. E offrire ai bambini con disabilità (sono circa 150milioni in tutto il mondo) modelli positivi con cui identificarsi.
Ma perché combattere queste battaglie? Perché un omino Lego o un’orchessa in carrozzina possono essere così importanti per un bambino o per un giovane con disabilità? Perché la rappresentanza positiva conta, spiegano le tre attiviste di “ToyLikeMe”: “Vedersi riflessi in grandi marchi come Playmobil e Lego è molto più di un semplice giocattolo. Riguarda il fatto che questi marchi inviano un messaggio forte: che tutti dovrebbero essere inclusi e celebrati, non solo le persone abili. Se lasciamo la disabilità fuori dalla scatola dei giocattoli, cosa insegna ai bambini nella vita reale? Che va bene escludere?”. Da qui la richiesta di normalizzare la disabilità per quello che è realmente, cioè parte dello spettro naturale della vita umana, iniziando a combattere gli stereotipi che riguardano la disabilità fin dai primi anni di vita.