Protezoni pericolose?
Le misure di protezione attuate delle RSA per tutelare la salute degli ospiti rischiano di prevaricare il loro diritto di vivere nella societą come previsto dalla Convenzione ONU
30 marzo 2020. Nel periodo più duro della pandemia, per raccontare e denunciare quanto stava avvenendo nelle RSA lombarde, (e non solo), abbiamo usato l’espressione “La strage degli innocenti”. Quanto è poi emerso, ha purtroppo dato ragione.
Il perché di una tragedia nelle case di riposo
La strage si è consumata per alcune ragioni:
- La mancata equiparazione del sistema sociosanitario a quello sanitario nella fornitura di Dispositivi di Protezione Individuali e nell’adozione tempestiva di protocolli e procedure adeguate.
- Il mancato accesso alle cure di un ampio numero di anziani inseriti nelle RSA, in ottemperanza a quanto previsto dalle linee guida della SIAARTI: mancate cure che, dalle parole di diversi responsabili di queste strutture, non hanno però riguardato la sola impossibilità di accedere alle terapie intensive, ma anche alla diagnosi e al consulto di medici e trattamenti specialistici.
- L’inserimento, in alcuni casi, di persone malate di Covid19 all’interno di servizi residenziali. Si tratta di ragioni organizzative e gestionali, che hanno origine culturali: i servizi residenziali, compresi quelli per le persone anziane, assolvono a un mandato sociale che si limita all’assistenza e alla cura di persone considerate ed etichettate come “fragili” o “gravi”. Compiti per i quali si prevedono una minore necessità di risorse, attenzioni e energie rispetto al resto degli interventi del comparto sanitario. I comportamenti e le scelte dei singoli enti e delle singole persone possono aver contenuto o ampliato gli effetti, ma non ne sono la causa principale.
In questi ambienti, in particolare nelle RSA, sembra non essere ancora arrivata neanche l’eco di quanto previsto e prescritto dalla Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità. Non è un caso, che le persone che vivono in questi servizi vengono definite come “anziani non autosufficienti” e non come “persone anziane con disabilità”, come invece dovrebbero essere correttamente indicate.
La distinzione per “categorie e gruppi” in base all’età e/o alla tipologia e intensità della menomazione e delle compromissioni funzionali, tipica del nostro modello di welfare, non dovrebbe avere più alcuna patente di legittimità, dopo la ratifica dello Stato Italiano della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità (Legge 18/2009). Convenzione che, parlando di diritti umani, si limita ovviamente a parlare sempre e solo di persone con disabilità, senza limiti connessi all’età. Un contesto culturale diverso, all’interno del quale – ad esempio – è prevista un’attenzione specifica alla protezione e sicurezza di tutte le persone con disabilità nella situazioni di rischio e di emergenza2, senza che questo faccia venir meno il diritto a continuare a godere delle stesse opportunità e possibilità riservate alla generalità della popolazione.
Non stupisce quindi che quanto è avvenuto nelle RSA si sia verificato, anche se in misura e intensità minore, nei servizi residenziali per le persone con disabilità giovani e adulte, compresa l’area della psichiatria, anche se al momento mancano ancora dati e informazioni affidabili in materia.
Limitare le libertà per tutelare la salute?
Un intero sistema è finito sotto scacco, perché colpito nella sua più intima funzione, ovvero quello di offrire protezione alle persone: le RSA si sono rivelate da luogo sicuro a luogo molto pericoloso per le persone che ci vivono e che ci lavorano. Forse è questa la chiave per comprendere quanto è avvenuto nelle scorse settimane e sta continuando in parte ad avvenire in questi giorni. Dal momento in cui il resto della società è uscita dal lockdown e sta prendendo confidenza con una nuova “normalità di vita sociale”, i servizi residenziali per le persone con disabilità di ogni età mantengono, e in alcuni casi rafforzano, la loro (in molti casi tardiva) chiusura verso l’esterno: vietate le visite dei familiari e vietate le uscite, sia per i rientri a casa che per ragioni di svago e di lavoro. Oppure permesse, ma a condizioni così difficili e scarsamente rispettose della dignità delle persone, da renderle di fatto poco applicabili.
Continua a leggere sul sito "I luoghi della cura" su cui l'articolo era stato pubblicato originariamente il 29 settembre 2020