E poi c'č la questione dell'inclusione scolastica
Di fronte alla nuova ondata di emergenza sanitaria tutti i buoni propositi sono andati in crisi. Ma i problemi della scuola "per tutti" sono tanti e per superarli serve un'azione di gruppo. Che parta dalle associazioni
E «poi c’è la questione “inclusione scolastica”… », scrive una cara amica, docente con figli con disabilità. Quel “poi” merita una riflessione, perché più che mai il processo inclusivo scolastico -ma anche oltre questo- rischia di naufragare sotto la spinta delle “priorità” legate all’emergenza sanitaria.
Merita innanzitutto ricordare che per le famiglie con disabilità quello dell’“emergenza” è spesso un concetto persistente in una routine oggi destabilizzata, se mai ce ne fosse stato bisogno, dalle seppur necessarie misure di emergenza sanitaria, che hanno evaporato l’alone di “normalità” che ne mitigava gli effetti. Tanto si è scritto e detto sulle procedure per evitare una seconda discriminazione scolastica, ma è bastata la realtà per mettere in crisi i buoni propositi. Ricaduti in una seconda fase emergenziale, è stata decretata la possibile presenza fisica a scuola degli alunni e studenti con bisogni educativi speciali; in mezzo a rimostranze, proclami e rivendicazioni varie, si è innescato un dibattito sulla priorità tra didattica in presenza rispetto all’inclusione sociale del gruppo classe.
Stabilire quale sia la “vera inclusione” è retorica poco costruttiva; l’inclusione è fondata, tra l’altro, su presupposti didattico-educativi e socio-educativi. A scuola, in qualsiasi formulazione, gli uni senza gli altri non funzionano.
Merita quindi ricordare alcuni punti cardine dell’inclusione scolastica. I bisogni educativi complessi non sono limitati alla disabilità; il confine è labile e riguarda numeri consistenti di alunni/studenti. Progettare per questa platea è possibile solo su basi ben solide, cosa che la scuola fatica sempre più a garantire; le criticità evidenziano ogni difetto, e questo periodo lo dimostra ampiamente.
Credo sia necessario tornare a ragionare sui presupposti normativi dell’inclusione, riflettendo bene su un’organizzazione che la “riforma” ha voluto cambiare ignorando il senso profondo che il legislatore aveva a suo tempo costruito. Nel mentre, è necessario sapere quante scuole hanno adeguato i PEI con le strategie individualizzate per la didattica integrata, a distanza o in presenza. Il PEI e la famiglia, assieme ai Gruppi di Lavoro, sono la bussola per gestire questo momento, anche in caso docenti e assistenti supportino gli studenti al loro domicilio in situazioni di sicurezza.
Ogni anno la scuola ha un cronico e crescente bisogno di docenti di sostegno e di assistenti qualificati. Purtroppo, non si vede all’orizzonte la volontà di risolvere il problema del precariato, con la conseguente perdita di professionisti che scelgono non appena possibile altri percorsi lavorativi, amplificando la difficoltà nel progettare percorsi inclusivi.
Come ultima riflessione, si ha la sensazione che nelle famiglie ci sia un’informazione diffusa sulle norme inerenti ai diritti scolastici, senza dubbio più agevole e immediata anche grazie ai “social”. Ma altra cosa è l’applicazione effettiva dei dettati normativi, sui quali ci si scontra con le problematiche di sempre, accentuate dalla priorità emergenziale odierna. In questa situazione è più che mai imprescindibile un’azione coordinata di gruppo, cui oggi solo le associazioni possono rispondere. È l’obiettivo che il Gruppo Scuola di Ledha persegue.
Altrimenti quel “poi” sarà sempre più lontano.
Giovanni Barin, Gruppo Ledha Scuola e Associazione Genitori Tosti in Tutti i Posti Onlus