Povertā e disabilitā. La situazione di una regione economicamente avanzata: la Lombardia
Pubblichiamo il contributo portato dal presidente LEDHA al convegno organizzato da CBM Onlus "Break the cycle" e che si č svolto il 2 dicembre 2020
Seppure poco studiato e analizzato, il legame tra disabilità e impoverimento (e quindi povertà) appare chiaro e evidente: lo dice l'osservazione e la conoscenza diretta del fenomeno da parte di operatori e leader associativa ma anche alcune indagini significative. I più articolati risalgono al 2010 e sono contenuti nel Rapporto sulle politiche contro la povertà e l’esclusione sociale, pubblicato nel 2012 dalla Commissione d’Indagine sull’Esclusione Sociale (CIES) del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali. La Commissione nel frattempo è stata soppressa.
Quel Rapporto illustrava come la presenza di una persona con disabilità nel nucleo familiare può essere una delle principali cause di deprivazione. Assenza di lavoro, sovraccarico assistenziale per la famiglia, costi sociosanitari, riflessi negativi sulla carriera lavorativa dei familiari sono, infatti, alcuni dei fattori che possono limitare l’accesso ai beni e ai servizi di cui dispone la maggior parte della popolazione. La relazione tra povertà e disabilità è una relazione di causa-effetto: tanto è vero che se la disabilità genera spesso impoverimento altrettanto è che le condizioni di povertà, assoluta e relativa, possono favorire l'insorgenza di menomazioni e compromissioni (ad esempio per maggiori difficoltà di accesso alle cure o per le condizioni di vita materiali) e soprattutto impediscono l'accesso a servizi, ausili e interventi di carattere assistenziale, sociale educativo che possono evitare che la menomazioni generi disabilità, discriminazione e esclusione.
Purtroppo il nostro sistema di welfare "a canne d'organo" fatica a vedere le correlazioni fra le diverse "categorie" di persone con fragilità e quindi a vedere per esempio come, nei nuclei familiari con un membro con disabilità l'impoverimento è strettamente correlato con un sistema di welfare che da per scontato che il primo agente di cura e assistenza sia proprio la famiglia, con la frequente rinuncia al lavoro retribuito da parte di uno dei componenti (quasi sempre femminile) della famiglia. Una situazione di fragilità di base che espone quei nuclei familiari a rischi più alti di scivolamento nella condizione di povertà in occasioni di crisi come quella che stiamo vivendo.
Riporto alcuni dati interessanti che confermano anche al livello del nostro paese quanto è stato affermato, alcuni tratti dal rapporto del CIES sopra citato, altri più vicini a noi:
- Secondo l’indagine ISTAT sul reddito e le condizioni di vita EU-SILC 2010, la deprivazione materiale (colta attraverso le difficoltà a sostenere una serie di spese o al possesso di alcuni beni durevoli) interessa le persone con limitazioni dell’autonomia personale in misura maggiore rispetto al resto della popolazione. Vivono una condizione di deprivazione materiale il 24,7% degli individui con limitazioni gravi e il 19,7% dei non gravi, a fronte del 14,2% delle persone senza limitazioni. Lo stesso si registra nel caso della grave deprivazione, che interessa l’11,9% e l’8,6% delle persone con limitazioni gravi e non gravi, contro il 6,1% di chi non ha limitazioni.
- Il 47,9% delle famiglie con almeno una persona con disabilità dichiara di non riuscire ad affrontare una spesa imprevista, contro il 32,3% delle famiglie senza membri disabili.
- Nel 2009, il reddito netto familiare medio delle famiglie con almeno una persona con disabilità è stato pari, in Italia, a 31.660 euro rispetto ai 40.698 euro delle famiglie senza persone con disabilità.
Partendo da questi dati va evidenziato che la povertà relativa (ovvero la percentuale di famiglie povere) in Lombardia è cresciuta consistentemente nel corso dell’ultimo decennio: dal 2,6% del 2010 al 6% del 2019. È presumibile che per effetto del Covid questo dato abbia avuto un consistente incremento nel corso del 2020, come testimoniano tutte le maggiori associazioni che si occupano di questa problematiche: dalla Caritas al Banco Alimentare ecc. In modo particolare Caritas evidenzia un forte incremento degli accessi ai propri Centri, con un forte aumento dei cosiddetti nuovi poveri, che rappresentano circa il 30% delle persone assistite.
All’interno della Regione, la città di Milano si conferma come una realtà territoriale particolarmente diseguale e caratterizzata da un maggiore rischio di povertà rispetto ai restanti Comuni.
Un elemento di particolare interesse emerge da una ricerca di Ismeri Europa per Regione Lombardia, presentata recentemente ad un webinar sul tema di povertà e protezione sociale: in Italia la percentuale di persone a rischio di povertà rispetto all’Europa è consistentemente più alta nella fascia 0-15 anni, rispetto alla fascia 55 anni e oltre: rispetto ad una media europea che, nella prima fascia di età è pari al 23,8% questa media in Italia è del 30,6%; mentre per la seconda fascia di età le % sono rispettivamente del 20,5 e 22,8%.
Prendendo come riferimento la situazione pre crisi del 2008 in cui la curva della povertà assoluta per le persone fino a 17 anni ed il resto della popolazione coincidevano, al 2019 si registra una differenza fra i due valori del 3,7%: per i giovani la % di povertà assoluta è pari all’11,4%, mentre per la restante popolazione è pari al 7,7%
Se si considera che nell’accezione della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità la disabilità viene considerata derivare dall’interazione tra persone con menomazioni e barriere comportamentali ed ambientali che impediscono la loro piena ed effettiva partecipazione alla società su base di eguaglianza con gli altri, ne deriva che i bambini ed i ragazzi che provengono da famiglie povere hanno meno possibilità di partecipare ad attività sociali, culturali e ricreative, di svilupparsi emotivamente e di realizzare il proprio potenziale, e quindi, quando saranno adulti, incontreranno maggiori difficoltà ad attivarsi nella società, accentuando in questo modo le proprie condizioni di svantaggio.
Quindi c’è un dato oggettivo che ci porta a ritenere che, anche nella nostra situazione, l’aggravarsi della condizione di povertà che riguarda tante famiglie, e di queste molte hanno figli o persone con disabilità a proprio carico, accentui i problemi delle persone con disabilità dal punto di vista dell’accesso agli strumenti che gli possono permettere di limitare questa loro condizione.
LEDHA dispone di un proprio osservatorio privilegiato che è costituito dal Centro Antidiscriminazione Franco Bomprezzi a cui si rivolgono persone per segnalare casi di discriminazione di cui sono oggetto nella società, nella scuola, nel lavoro ma che costituisce anche una antenna sensibile per registrare situazioni di oggettiva difficoltà. A noi risulta che oggi l'attenzione prevalente è ancora incentrata sul rischio insito nella contrazione del virus, per cui le persone che ci si rivolgono sono prima di tutto preoccupate dal rischio di malattia, ma segnalazioni che ci pervengono da famiglie che hanno un figlio con disabilità, che frequenta la scuola, è costretto a seguire la didattica a distanza, ma la famiglia si trova nella impossibilità di acquistargli un PC, sono segnalazioni che ci pervengono.
Ciò che si evidenzia da questo nostro osservatorio è che in realtà come la nostra, di una economia particolarmente avanzata, per le persone con disabilità il problema della povertà non riguarda solo la questione della sussistenza materiale nelle sue diverse declinazioni, un problema che esiste concretamente e che spesso deriva anche da regolamenti comunali che hanno nel tempo e, purtroppo, talvolta continuano ad imporre criteri di compartecipazione alle spese che - di fatto - obbligano le persone con disabilità e le loro famiglie a dar fondo a quasi tutti i propri risparmi e/o a vendere o ipotecare i propri beni mobili o immobili.
Ma anche e spesso dalla impossibilità di potere usufruire di diritti elementari che cercano di porre la persona con disabilità sullo stesso piano delle altre persone. Nel particolare contesto della Emergenza Covid, come ha denunciato la nostra associazione che opera su Milano, Ledha Milano, quando verifichiamo che che un ragazzo con disabilità multiple è stato lasciato “momentaneamente” a casa perché non si reputa sicuro inserirlo nel centro in cui precedentemente era inserito, oppure un ragazzo che ha iniziato una sperimentazione per un progetto di vita indipendente è rimasto senza trasporto, perché il pulmino può effettuare solo il tragitto tra l’abitazione e il centro: non sono ammessi cambiamenti.
Oppure che ancora oggi, a mesi di distanza dalla fase acuta dell’emergenza, quando una persona con disabilità non può frequentare il suo centro e il massimo dell’assistenza che riceve è la breve visita di un assistente e una passeggiata attorno all’isolato, tutti comprendono che questi sono gli elementi che determinano una condizione di reale impoverimento delle condizioni di vita di una persona con disabilità.
È per questo, per fare in modo che tutte le persone con disabilità abbiano la possibilità di vivere nella stessa condizione di qualsiasi persona, che LEDHA si è fatta promotrice di un Progetto di Legge Regionale per la Vita Indipendente delle Persone con Disabilità, con l’obiettivo di dare voce alle persone con disabilità perché possano affermare il loro diritto di persone al pari di qualsiasi altra persona. Per chi fosse interessato la nostra proposta si può trovare sul sito di LEDHA.
Alessandro Manfredi, presidente LEDHA