Che senso ha?
L'opinione di una donna che vive una grave malattia sulla libertà di ogni essere umano. Articolo tratto da Oltre, periodico trimestrale fondato da Orizzonti Oltre l'handicap e gestito da Anffas Milano Onlus.
Scrivo da persona, più precisamente da donna, segnata nel corpo da un grave handicap che ne limita fortemente la vita. Lo faccio ora, a mesi di distanza dalle cronache, spesso gridate ed isteriche, della morte della signora Eluana Englaro, o meglio, dello spegnersi di ciò che restava di una carne tenuta in vita artificialmente perché quanto costituiva l'essenza della sua persona era scomparso ben diciassette anni prima. Se ne son dette di tutti i colori, ciascuno si sentiva in diritto di esternare, spesso nella più totale ignoranza o, peggio, malafede. Il rispetto o anche solo la pietà sembravano definitivamente morti, uccisi in nome di prese di posizione preconcette e, quasi sempre, ispirate a posizioni integraliste di gruppi appartenenti alla Chiesa Cattolica, quella stessa che predica l'amore e la compassione quali fondamenti della propria religione. Certi sproloqui mi hanno offesa ed indignata come donna handicappata che certe situazioni le ha vissute sulla sua pelle. Adesso l'emozione è passata e restano soltanto le disposizioni autoritarie e punitive di un testo di legge -che data la situazione politica non può certo mutare in senso liberale, anzi- sul testamento biologico privo della più elementare libertà di scelta.
Capisco, ma assolutamente non giustifico, il desiderio la volontà e l'esigenza di riaffermare i valori ed i dogmi della propria fede e anche quelle di far proseliti, però, non posso accettare la pretesa di imporre a tutte le persone ciò che è -dovrebbe essere- riservato ai fedeli, né di farli passare come universali; non mi fido di coloro che ritengono di possedere l'autentica Verità ed obbligano tutti a conformarsi senza altra possibile scelta. Se lasciar morire un corpo umano o decidere di porre fine ad insopportabili sofferenze per annullarsi come individuo o, se si crede, per ricongiungersi all'Essere Supremo è peccato non può e non deve diventare reato e rappresentare una coercizione anche per chi non crede o non ha certezze né fede o crede in un Dio misericordioso che comprende ed accoglie i suoi figli anche e, soprattutto, se hanno sbagliato. È un errore scegliere solo per sé -molte volte tra mille dubbi e timori- di non essere sottoposto a cure spesso inutili dolorose e degradanti? Bene, ritengo che ciascuno abbia il diritto di poter commetterlo, senza che nessun prete medico ministro sia autorizzato a obbiettare o censurare tale decisione per far prevalere le proprie convinzioni. Non credo, o meglio mi rifiuto di credere che un individuo o un gruppo di persone possiedano la Verità assoluta, rivelata da un Essere Superiore.
Si parla tanto di fine naturale della vita. Forse, è un limite mio ma non capisco cosa ci sia di naturale in un corpo tenuto in vita da macchinari più o meno sofisticati o anche da ausili medici più semplici. Quando una persona sente di non vivere, a suo insindacabile giudizio, una vita dignitosa rispettosa di sé o resa insopportabile da sofferenze prolungate ed inutili ha il diritto di chiedere ed ottenere la sospensione di terapie ed interventi tecnologici. Non è giusto né accettabile che l'applicazione di protocolli terapeutici elaborati e messi in pratica da medici troppo zelanti o peggio pervasi da una sorta di delirio di onnipotenza, prima creino uno stato biologico assolutamente staccato da quello naturale e in seguito si ostinino a tener in vita queste loro strane 'creature'.
Per quanto riguarda me, non voglio assolutamente continuare a vivere attaccata ad un respiratore o supportata da strani orpelli che nutrano una carne che non mi appartiene più, che io ne abbia coscienza o meno. È una scelta dura e difficile, personalissima E come tale può soltanto essere rispettata. D'altro canto, però, ritengo che, quando una persona fa la scelta opposta, cioè quella di essere tenuta in vita il più a lungo possibile e in qualsiasi condizione, debba esserle garantito il diritto di ricevere le cure più opportune senza assurdi risparmi o restrizione alcuna. Tutti gli esseri umani possono e devono aver l'opportunità di far le scelte più differenti. Le motivazioni possono essere legate a convinzioni di fede religiosa, da speranze fideiste in una scienza medica, o meglio, in una tecnologia che pare non avere limiti e promette di trovare cure portentose per qualsiasi tipo di malattia sventolando assurde pretese di vite ultracentenarie e chissà, con il miglioramento di conoscenze e tecnologie, eterne (la sconfitta della morte è da sempre desiderata e cercata dall'Umanità ed è presente in tutta la sua storia, non è mai parsa o spacciata come raggiungibile vicina ed accessibile a molti se non a tutti quanto in questi ultimi caotici anni); però, una persona può anche non aver fede religiosa o fiducia nella scienza medica e rifiutare l'idea di un'esistenza a tutti i costi, al di fuori e al di là di ciò che rende la vita umanamente vivibile. Il nodo fondamentale sta proprio qui: quando l'esistenza ha un senso? Ce l'ha intrinsecamente o si deve dargliene uno? E, soprattutto, ciascuno può farlo al di là di qualsivoglia pressione? Se si ammettono risposte diverse senza ricorrere a presunte Verità assolute ed immutabili, tutto diventa più chiaro e tranquillo. Io non credo che la vita abbia un senso prestabilito o sacro, sono convinta che ognuno di noi debba trovargliene uno e che, anche questa ricerca faccia in qualche modo parte dell'esistenza stessa e della fatica del vivere. Non penso ci siano verità più vere o nobili o accettabili di altre; fatti salvi il rispetto per le persone ed il rifiuto di tutti i tipi di violenza sugli esseri viventi, sono convinta che ogni spiegazione e ragione che ciascuno si da' abbia lo stesso valore delle altre. Se credere in Dio ed in una vita dopo la morte fa sentire la persona in pace ed armonia con se stessa con chi le sta accanto e con il mondo intero, ben venga questa fede che, però, non può e non deve essere motivo di coercizione verso coloro che credono, definiscono l'Essere Supremo in modo differente o non credono affatto nella sua esistenza o ancora sono pervasi dai dubbi e non se la sentono di escludere o prendere una posizione ben chiara e definita.
Ho maturato la convinzione che il caso di Eluana Englaro abbia innescato tante polemiche anche a causa del suo non poter esprimere la propria volontà, che però era perfettamente rintracciabile nelle tante testimonianze di famigliari ed amici, di rifiutare quella "vita", se si può considerare tale il totale oblio di sé oltre ad un'umiliante dipendenza dalle cure altrui senza la minima possibilità di una qualsiasi reazione. Non dubito che le persone che accudivano il suo corpo lo facessero con serietà dedizione ed amore, ma non posso far a meno di pensare che è troppo facile -e vorrei aggiungere comodo- amare un corpo inerte e privo della possibilità di reagire.
Tempo prima, Piergiorgio Welby aveva destato ancora maggior scalpore turbamento e deplorazione, in particolare fra i convinti di possedere la Verità autentica, anche tra quanti non hanno simili o differenti certezze. È inquietante, al di là di qualsiasi tentativo di comprendere, sentire una persona dichiarare di non poter più sopportare le sofferenze fortemente limitanti e senza speranza di un corpo del tutto immobile, oltre che privo di funzioni vitali da troppi anni e chiedere in modo accorato ma lucidamente fermo di potervi porre fine alla luce del sole (più di uno lo fa nel silenzio complice di persone pietose). Non si trattava, ne sono sicura, di una decisione dettata da momentanee o capricciose stanchezze ma di una certezza maturata nei minuti eterni di un'esistenza scandita anche dai ritmi delle apparecchiature che lo aiutavano a vivere; neppure il grande e sincero affetto delle persone care o l'impegno civile bastavano più a trasmettergli la forza di proseguire una vita tanto difficile e dolorosa. La storia si concluse grazie al coraggio di un medico disposto a rischiare il carcere per donare una fine dignitosa ad una persona che sentiva di essere giunta al limite della sopportazione. Il signor Welby era un credente, era certo che il suo Dio misericordioso lo avrebbe accolto nelle sue eterne braccia amorevoli, proprio come, a suo tempo, aveva fatto con un anziano papa che, dopo anni di sofferenza teorizzata ed innalzata a supremo valore di salvezza, si era rifiutato di accettare un'ulteriore inutile cura proposta da medici tanto esperti e scrupolosi quanto privi di umana pietà ottenendo di essere lasciato tornare alla casa del Padre. Al pontefice è stato concesso, nessun prelato e tantomeno fedele si è permesso di sproloquiare sulla fine naturale della vita; le esequie sono state celebrate secondo le regole della religione, era ovvio che accadesse ed è accaduto; al signor Welby non è stato concesso il conforto di una sepoltura cristiana. Senza voler entrare in questioni di cui so pochissimo e che mi interessano ancor meno, non posso non chiedermi il perché di tanta differenza di comportamento. L'unica risposta che riesco a trovare è legata al desiderio di mantenere il predominio sulle coscienze, meglio, sulle vite delle persone; in ultima analisi, una questione di potere e, questo mi indigna. Non lo ritengo giusto né giustificabile. Non vorrei mai che un credente fosse costretto a venir meno ai suoi principi di fede da una legge dello stato, ma auspico altrettanto rispetto delle scelte di chi non ha fede ma agisce in base ad una morale fondata sulla libertà di ogni essere umano di scegliere quanto ritiene giusto per sé, naturalmente senza coinvolgere libertà e diritti altrui.
Nessuno riuscirà a convincermi che rifiutando cure inutili e dolorose o chiedendo di sospenderle compio un atto "malvagio"; di certo non procuro un dolore insopportabile alle persone care perché volendomi bene non potranno che gioire della fine di sofferenze tanto grandi quanto inutili o di uno stato di incoscienza di sé che sanno essermi insopportabili. Allo stesso modo lo stato non subirà alcun danno perché non commetto alcun reato contro altre persone e se i credenti dovessero sentirsi offesi o indignati posso sempre pensare alla misericordia del loro Dio che perdona ed accoglie i peccatori. Vorrei soltanto che ogni Uomo fosse messo sul serio nella condizione più consona per valutare e fare una scelta consapevolmente libera.
Laura Carrer