Vita indipendente: la Testimonianza di Luca
Testimonianze di Vita Indipendente emerse nella tavola rotonda del corso "Come tutti anch'io: vita indipendente per le persone con disabilità" organizzato da LEDHA. La storia di Luca, ragazzo non vedente.
La cosa più difficile parlando della mia esperienza di vita autonoma è separare i tratti caratteristici della vera indipendenza di una persona disabile rispetto a ciò che viene definita "la normalità di tutti".
Partirei in ordine cronologico.
La mia disabilità è visivo - sensoriale. Generalmente questo tipo di disabilità incuriosisce, è come se per la maggior parte delle persone noi - non vedenti- vivessimo in un mondo difficile da penetrare dall'esterno, per questo risulta la riflessione sui limiti quotidiani che questa disabilità comporta. In realtà, la partecipazione al mondo reale avviene entro certi limiti che per me sono limiti della possibilità, ma rappresentano una sfida e questo dall'esterno è spesso compreso solo in parte. La mia esperienza di vita autonoma è partita con la scuola elementare, erano gli anni '80, a quel tempo c'era tanta buona volontà, ma poca preparazione e supporto tecnologico. La tecnologia disponibile era quella delle tavolette braille (tavoletta con punteruolo che permetteva di scrivere su un cartoncino). Quella tecnologia permetteva la traduzione di testi e la riproduzione di semplici immagini, schemi...cartine geografiche. (Credo oltretutto che i braille, metodo antico ma non antiquato, debba sopravvivere all'avvento della tecnologia, perché la lettura diretta è fondamentale sia per gli occhi che per le dita).
Questo è stato il mio impatto con il mondo esterno. È stata dura, più che altro perché vi è il distacco dall'ambiente domestico protettivo e il confronto con gli altri. Si impara da subito a crearsi delle difese, ma non solo, in un certo modo si inizia ad avere una visione più ampia del problema, si comprende che pur facendo cose in modo diverso il risultato è lo stesso. Questi successi e riconoscimenti, forgiano il carattere e incoraggiano, resta però fondamentale che ogni persona pian piano si crei dei metodi per affrontare la vita quotidiana. Il periodo delle scuole medie è stato molto simile a quello delle elementari, fino a metà delle scuole superiori dove qualcosa è cambiato. È arrivata la prima tecnologia ( anche se embrionale) che mi ha costretto a cambiare metodo di studio. Studiavo su testi registrati, metodo strano che rendeva tutto un po' più difficile. Riadattavo spesso il materiale scolastico, scrivendo e riscrivendo con la macchinetta dattilografica, ed è proprio questo tipo di lavoro che caratterizza la nostra vita, molta gente mi dice che sono fortunato perché nonostante la mia disabilità sono intelligente, quello che vorrei che la gente comprendesse è che intelligente lo sono diventato come conseguenza alla mia disabilità. Se hai delle difficoltà, devi trovare una via d'uscita per farcela, una via alternativa. Il periodo che va alla fine delle scuole superiori alla scelta dell'università è stato un altro periodo difficile, sia in termini di scelta della facoltà sia in termini di limiti che puntualmente venivano rimarcata da chiunque cercasse di darmi consigli.
Le risposte che mi venivano date mi indirizzavano sempre verso scuole speciali. Io non considero degradanti le scuole speciali, ma ho sempre frequentato scuole pubbliche "normali" ottenendo ottimi risultati, perché avrei dovuto scegliere una scuola speciale? Quello è stato uno dei momenti, il primo credo, in cui mi sono sentito messo da parte, ero demoralizzato. La maggior parte dei limiti sono imposti da chi li vede e spesso purtroppo queste sono persone disinformate. Chi come me è disabile, sa che si possono trovare molte soluzioni alternative per affrontare una situazione.
Inizialmente volevo fare informatica, poi ho cambiato idea e ho scelto fisioterapia, ho deciso comunque di iscrivermi all'università di Pavia, nonostante tutte le critiche, e provare a fare i test di ingresso. Studiando molto e prendendo ripetizioni ho passato i test arrivando quarto su più di seicento persone.
Le difficoltà però erano solo all'inizio. Fisioterapia è una facoltà che ha parecchie materie difficili da comprendere se non guardando figure e lucidi e quelle erano difficoltà oggettive per me. Vi era parecchia resistenza da parte dei professori nel prestare materiale utilizzato in lezione ( diapositive, lucidi, registrazioni delle lezioni) e questo rendeva tutto più difficile. Anche la pratica è stata problematica, dal principio perché i tutor pur avendo buona volontà, non riuscivano a capire quali limiti potessi avere nella pratica, cosa che oltretutto neanche io riuscivo a valutare.
La mia fortuna è stata quella di avere un tutor ipovedente, questo mi ha permesso di frequentare una scuola normale avendo come supporto una persona speciale.
La presenza del tutor ipovedente è stata di fondamentale importanza oltre che per l'aspetto tecnico di insegnamento, che per me si introduceva in un maggior contatto con il paziente, per l'esempio che questa persona mi dava. Ho avuto la prova che non era una cosa impossibile: " se l'ha fatto lei, posso farlo anche io".
Dopo la laurea ho iniziato a lavorare, io sono scentigrafista, posso lavorare sia su macchine che su pazienti. Il mio primo lavoro è stato su macchine, e questo per me è stata una difficoltà perche anche se sono macchine facili da usare, hanno display, fili, rotelle... colori... che io non posso vedere, questo mi portava ad impiegare più tempo del necessario e ad accumulare lavoro con la conseguenza inevitabile di un eccesso di stress.
Ho quindi preferito un ospedale più grande, dove il lavoro è flessibile, dove ci sono molti ruoli e ambiti. Al momento lavoro in un grande ospedale, in u reparto, con tutte le difficoltà del caso che però, ho saputo affrontare passo passo, facendo anche le giuste richieste. Inizialmente provavo frustrazione per i risultati, mi rendevo conto di ottenere meno dei colleghi, ma il fatto è che io sono in cima alla mia "montagna".
Ho limiti sulla casistica dei pazienti, soprattutto mi occupo di quelli post-chirurgici, che collaboranti e senza complicazioni.
Quello che mi pesa è un po' la monotonia del lavoro, quello che invece mi piace è il rapporto con i pazienti, non ho mai incontrato difficoltà in questo senso, sono sempre stato accettato senza problemi.
-Esperienza di vita autonoma -
Ho abitato fino a tredici anni in un paesino e questo mi ha agevolato in quanto luogo protettivo. Verso i diciannove anni ho iniziato a sentire il bisogno di vivere in autonomia, sentivo l'esigenza di svolgere attività diverse e il paese non me lo permetteva, avevo sempre bisogno di qualcuno. All'epoca ho seguito un corso di autonomia ed orientamento che mi ha fornito degli spunti per riuscire a raggiungere un maggior grado di autonomia, ma non ero ancora pronto, non riuscivo ad usare le nozioni apprese. Dopo aver imparato come attraversare la strada, ho passato i successivi cinque anni continuando e non attraversare da solo, perché c'era sempre qualcuno che mi accompagnava. Il primo treno l'ho preso a 20 anni, perché mi dicevano che io non potevo leggere i display, in realtà ci sarebbero mille modi per avere informazioni. Verso i 20 anni ho iniziato a farmi delle domande soprattutto come conseguenza al confronto con gli altri.
Ricordo un giorno speciale, un'amica organizzò un incontro a Pavia, con gente ipovedente e vedente...una pizza, quella fu l'occasione per conoscere nuove persone e rendermi conto che queste, pur avendo la mia stessa disabilità erano molto più autonome di me: avevano cellulari, utilizzavano mezzi..le mappe.
Confrontandomi con loro mi resi conto di quanto fossi dipendente da altri, vedendo loro dunque, mi sono chiesto: "perché no"?
Ho quindi realizzato che il mio grado di autonomia dipendeva più che altro da una questione di emotività: paura, responsabilità verso qualcuno che potrebbe essere in pensiero per me. Così poco per volta iniziai a fare tutto.
Dal secondo anno di università ho iniziato ad usare il treno in piena autonomia, con percorso fisso, acquisendo sempre più fiducia in me stesso tanto da arrivare a viaggiare da solo. Ho iniziato a sviluppare l'orientamento e passo passo ho costruito un metodo per viaggiare in autonomia. Oggi: sono definito il campione dell'autonomia, anche se non mi sento ancora autonomo al 100%. Vivo da solo, in una casa che ho scelto con certi criteri, ho sviluppato capacità che mi permettono di cucinare, lavare..insomma di vivere!
Vorrei sottolineare un aspetto importate: per me il concetto di normalità è assolutamente svincolato dal confronto con gli altri, un paragone di questo tipo lo vedrei solo come una sfida inutile. Se riuscissi ad essere come gli altri magari non sarei soddisfatto. La cosa importante è riuscire a raggiungere i propri obiettivi e prendersi le proprie soddisfazioni anche se in modo diverso.