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Persone con disabilità

A cura di Ledha

Archivio opinioni

15 Dicembre 2010

Il paradigma Down

di (dedicato a Elena) di Carlo Giacobini

Carlo Giacobini, Responsabile del Centro per la documentazione legislativa dell’Unione Italiana
Lotta alla Distrofia Muscolare e del servizio HandyLex.org commenta lo scenario attuale rispetto all' indennità di accompagnamento

Mi scrive Elena Duccillo, persona che apprezzo, a margine del recentissimo Messaggio dell'INPS che riconosce - in automatico - la titolarità dei requisiti sanitari utili alla concessione dell'indennità di accompagnamento, alle persone con sindrome di Down. Fra le altre riflessioni, avevo annotato di ritenere che vada complessivamente ripensata la modalità di riconoscimento delle "provvidenze economiche", considerando meno stringenti i requisiti sanitari e maggiormente importante il "progetto individuale" di ciascuno. Se non lo si fa ci saranno sempre degli esclusi in base alla patologia. E questo per tutti, non solo per le persone con sindrome di Down.

Civilmente Elena mi risponde:
"Eh sì, ma a proposito di "progetto individuale" e di leggi disapplicate... dalle mie parti non si è mai visto un "progetto di vita" per una persona con disabilità fatta da Enti Locali eppure sono dieci anni che esiste sulla carta la 328! Non è che giustifico che una persona trisomica abbia più diritto ad una provvidenza economica di altri invalidi civili , dico che si tratta di insufficienti mentali con variabilissime possibilità di recupero ma la cui mappa cromosomica è inoppugnabile.
Poi... vuoi in seguito a proposte mediatiche e non tipo il teatrino della De Filippi o vuoi per gli articoli senzionalistici del tipo ora gli cambio i connotati facciali così la sua vita sarà normale o vuoi per l'autopromozione di genitori stessi ( non mi esimo nemmeno io, eh! ) sul come "possano" ottenere livelli di autonomia e compensazione insperati che sono un paio di lustri fa non erano nemmeno sognati...
Che succede? Allora, 74%?, no l'85%! e però il 100%... a tutti !!! Diamo, togliamo, finanza creativa...
Loro sono "quello che i genitori, i terapisti, gli insegnanti, gli specialisti""riescono a dargli con l'intervento precoce, i progressi della medicina, risorse economiche pubbliche MA soprattutto private.
Possono avere una vita indipendente? Certo! Non neghiamo, che sono e rimangono insufficienti mentali. Quanto vorrei che non fosse così, però... anche se non si dice malattia, si dice condizione genetica, di variabile grado di ritardo si parla, una mappa cromosomica è una mappa cromosomica... per sempre per tutta la vita.

Elena, sei straordinariamente civile [merce rara] e stimolante, cioè appartieni alla categoria di persone con cui preferisco confrontarmi, perchè arricchisce e costringere a riflettere per chiosare, ribattere, gemmare i concetti che l'altro.

Io penso che - ai nostri fini che non solo quelli delle provvidenze economiche - l'affermazione che la mappa cromosomica sia inoppugnabile è un argomento piuttosto debole e che mi fa pure paura nel timore che possa contagiare altri momenti di intervento e portare subdolamente alla costruzione (anzi, al rafforzamento) dello stigma.
A parte che ci sono migliaia di situazioni (alcune non hanno nemmeno la dignità di avere un nome) che derivano da un difetto, una mutazione, una delezione genetica (Rett, Angelman ... distrofie muscolari ...), ma ce ne sono anche molte altre - gravissime - che non si basano su un problema di origine genetico.
Forse che l'esame del cariotipo vale di più di una TAC o di una Risonanza che dimostra una lesione spinale completa?

Ma torno - credimi! lontanissimo dalla polemica - all'aporia logica che oggi riguarda le persone con sindrome di Down e molte altre "condizioni genetiche".
Primo corno dell'aporia: la persona con sindrome di Down, opportunamente supportata, riesce a raggiungere un buon livello di autonomia.
Secondo corno dell'aporia: la persona con sindrome di Down vive una condizione genetica che comporta un handicap grave e una invalidità tale da comportare l'incapacità a svolgere gli atti quotidiani della vita.

Mi soffermo sul primo corno chè si basa su un sillogismo mica tanto scientifico: tutte le persone Down hanno una condizione genetica identica (trisomia 21); tutte le persone con sindrome di Down sono uguali.
È terribile sotto il profilo umano, ma anche da un punto di vista di processi di abilitazione. È come se quel maledetto gene annullasse qualsiasi tratto peculiare della personalità, delle aspirazioni, delle tipicità che ognuno di noi possiede.
Aggiungo, in digressione, che francamente sono sempre più infastidito da questo arrogante determinismo: siamo marchiati dalla nostra situazione genetica. Solo da quella! La nostra storia personale, l'ambiente in cui viviamo sarebbe solo marginale. Possiamo fare ben poco contro quello che è segnato in quella spirale ...

Da un punto di vista di immagine, di comune sentire, questa convinzione produce i suoi nefasti effetti (quelli che citi, sono significativi).
C'è poi un triste elemento sociologico e antropologico che - inopinatamente - ne deriva: la persona con sindrome di Down è il paradigma della diversità buona, simpatica, paciosa, serena, affettuosa. La persona con sindrome di Down buca lo schermo. È rasserenante, molto più "avvicinabile" di una persona con tetraparesi spastica o con un'altra disabilità evidente nelle sue deformità, nella sua incomunicabilità e imprevedibilità. È più facile intervistare e mostrare una persona con sindrome di Down al grande pubblico - senza turbarne la "sensibilità" - che un bambino con sindrome di Angelmann. No. La persona con sindrome di Down è - per costoro - un ansiolitico, nella tranquillizzante convinzione che anche se sono "diversi", anche se hanno "una malattia" sono comunque "sereni".
È una forma strisciante di razzismo.
Ad essere buoni, un luogo comune che investe la maggioranza delle persone, anche i nostri Parlamentari. A luglio, quando era vivo il contrasto alle misure che la Manovra correttiva stava per approvare, uno degli argomenti che hanno fatto presa presso i parlamentari è stato: "tolgono la pensione ai Down!".

Secondo corno dell'aporia: se si parla di provvidenze economiche la persona con sindrome di Down non in grado di svolgere gli atti quotidiani della vita. Se si parla di riconoscimento dello stato di handicap, la persona con sindrome di Down è persona con una riduzione dell'autonomia personale, correlata all'età, tale da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione. Il che non è sempre vero, soprattutto grazie ad azioni - faticose, impegnative, spesso massacranti che riguardano i servizi e le famiglie.
E anche questa convinzione deriva dall'assunto - terribile a mio avviso - che quella condizione genetica possa portare ad uno ed uno solo esito.

Come risolviamo l'aporia? Siamo in grado di risolverla?
La prima convinzione è dura da scalzare. Mediamente le persone preferiscono le spiegazioni più facili, semplici e ansiolitiche e questa televisione non aiuta certo ad approfondire.
La seconda è inconciliabile con la prima.

Io trovo una prima risposta dallo stesso Legislatore, per una volta molto lucido. La trovo nell'articolo 94 della Legge 289/2002 quello che ha concesso l'automatismo dell'handicap grave alle persone con sindrome di Down. Quell'automatismo viene motivato: "in considerazione del carattere specifico della disabilità intellettiva solo in parte stabile, definita ed evidente, e in particolare al fine di contribuire a prevenire la grave riduzione di autonomia di tali soggetti nella gestione delle necessità della vita quotidiana e i danni conseguenti (...)".

È fondamentale quel passaggio: non ti riconosco la gravità perchè questa sussiste davvero, ma per evitare la riduzione dell'autonomia.
Ho sempre considerato - forse da visionario - quel passaggio come un importante riconoscimento della maggiore importanza della "prevenzione" e dell'autonomia rispetto ad una valutazione meramente sanitaria.
E inoltre, proprio le persone con sindrome di Down costituiscono un apripista per altri. Sono un apripista per altri, proprio usando gli stereotipi consolidati che, per una volta, potrebbero tornarci utili.

Per questo sostengo che una battaglia fra patologie è sicuramente perdente: se quei princìpi valgono per la sindrome di Down, devono valere anche per la Malattia x; Se valgono per la Malattia x, devono valere anche per la Malattia y ... e così via così via in un'iperbole tassonomica paranoicamente avvitata su se stessa.
Una battaglia perdente perchè conferma una logica di "valutazione" meramente sanitaria e falsamente risarcitoria.

Continuo a ritenere che le provvidenze economiche (come tutti i servizi) debbano essere saldamente ancorate e proporzionate al progetto di vita di ognuno.
Fino ad oggi non è così. Fino ad oggi solo parole e disillusioni che portano la maggioranza a preferire pochi denari, maledetti ma subito.

Grazie ancora, Elena.

12 dicembre 2010

Carlo Giacobini

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