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Persone con disabilità

A cura di Ledha

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4 Maggio 2011

"Casa mia", una sfida da vincere

di Fulvio Santagostini, Presidente LEDHA

Quando alle persone con disabilità sarà riconosciuto il diritto di scegliere il luogo in cui vivere e non siano obbligate a vivere in particolari sistemazioni “residenziali”?

Quando pubblicammo sul sito "persone con disabilità" l'articolo dal titolo "RSD: un servizio da ripensare?" a cura di Giovanni Merlo (Direttore di LEDHA), Paolo Aliata (Responsabile organizzativo di LEDHA), Guido De Vecchi (Coordinatore di Spazio Residenzialità), intendemmo aprire una riflessione su questo tema sapendo di andare a toccare sensibilità importanti sia nel mondo degli operatori che in quello dei famigliari delle persone con disabilità grave che negli anni hanno visto in questa "soluzione" l'unica possibilità concreta di dare una risposta a problemi emergenziali ed all'annoso problema del "dopo di noi".
Dalla ricca ed importante discussione che ne è seguita è emerso chiaramente che il tema non è RSD si o RSD no, ma cosa deve essere o a quali modelli deve rispondere un servizio di questo genere?
Ecco che allora non possiamo non partire per affrontare questo delicato ma strategico argomento da ciò che ci dice la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità all'art. 19, ma senza dimenticarci che la Convenzione si riferisce a TUTTE le persone con disabilità indipendentemente dal tipo e dalla gravità della loro disabilità.
Ma cosa delinea l'art. 19 della Convenzione - Vivere in maniera indipendente ed essere inclusi nella comunità? "Il diritto...di scegliere il proprio luogo di residenza e dove e con chi vivere, sulla base di eguaglianza con gli altri e non siano obbligate a vivere in una particolare sistemazione abitativa;" e di "... avere accesso ad una serie di servizi di sostegno domiciliare, residenziale o di comunità, compresa l'assistenza personale necessaria a sostenere la vita e l'inclusione all'interno della comunità e a prevenire l'isolamento o la segregazione fuori dalla comunità;"

Da molti anni alcuni di noi si sono convinti che alla base del sistema dei servizi rivolti alle persone con disabilità ci debba essere la questione dell'ABITARE, o più semplicemente il diritto di avere una casa in cui vivere la propria vita.
E' questo il discrimine su cui dobbiamo indirizzare la riflessione per rispettare l'affermazione per cui la disabilità "è un concetto in continua evoluzione" e quindi, di conseguenza, le risposte dei servizi debbano adeguarsi ai "nuovi" bisogni espressi dalle persone con disabilità:

Spostare l'attenzione dal concetto di "risiedere" a quello di "abitare" vuol dire riportare al centro il significato di "aver una casa propria in cui vivere".

In psicologia la "casa" rappresenta "le fondamenta stesse della vita psichica di un individuo, per cui - essere a casa - equivale ad essere integri a livello psicologico. La "casa" va a definirsi come la matrice stessa della soggettività.
La casa è il luogo dove i ricordi del passato si coniugano con il vissuto del presente e con le aspirazioni del futuro, ricostruendo di fatto le storie delle "famiglie" e dando un senso di continuità che produce anche una ripercussione sul proprio essere "soggetto sociale".

Un autore televisivo e sceneggiatore italiano ha scritto: "Ogni casa ha il suo odore inconfondibile. Qualcosa che ti eccita e ti spaventa. Come quando torni a casa dalle vacanze e rimani sul ballatoio, con la porta aperta e le valigie a terra. Indeciso se profanare quella strana penombra. (Alfredo Accatino)"
Come trasformare i Servizi residenziali in luoghi dell'abitare, modificandone l'organizzazione e le strutture, gli spazi e i criteri architettonici, garantendo a chi vi abita di ricostruire la continuità della propria storia, è la sfida che come LEDHA vogliamo porre a tutti i livelli e, come LEDHA, vogliamo combatterla fino in fondo.

Fulvio Santagostini, Presidente LEDHA

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