Scuola, la “provocazione” dell’inclusione
Riportiamo la prefazione del libro "L'attrazione speciale" a firma del Portavoce del Forum terzo settore.
Il sistema educativo polarizza attenzioni, rivendicazioni ed emotività sia positive che negative. In fondo è un pezzo della vita di ognuno di noi e, un po’ come per la nazionale di calcio, tutti ci sentiamo nel diritto/dovere di esprimere opinioni ben marcate. Non si può dire che questo sia un fatto negativo anzi è il segno certo della valenza nella vita di tutti i cittadini del periodo trascorso nelle aule di scuole, anche se sempre più degradate. Un periodo che anzitutto richiama all’infanzia, all’adolescenza, ad uno dei periodi più critici della vita e, allo stesso tempo, uno dei più felici.
Inserire il tema disabilità dentro tutto ciò comporta una inevitabile contraddizione o forse, meglio, un paradosso. Una menomazione evoca il limite umano di tutti noi e non una condizione di vita ordinaria. Non richiama allo sviluppo ed alla crescita di ogni essere umano. Nell’immaginario collettivo quindi appare più come una provocazione o, nel migliore dei casi, una ipotesi di tolleranza e paternalismo. Un effetto, quindi, spinto verso una emozione caritativa piuttosto che una opportunità di vita.
Il volume traccia un percorso logico di tutto ciò. Lo fa con una scrittura a diverse mani, tra le quali era prevista anche quella di Franco Bomprezzi che non ha fatto però in tempo ad offrire il suo contributo. Franco ha speso tutta la sua vita nel tentativo di risalire la china del pregiudizio. Una montagna difficile da scalare sulla cui strada però ha trovato compagni ed amici di avventura che proseguono tuttora quella battaglia.
Lo stigma dell’incapacità di intendere e di volere, l’accostamento della disabilità alla malattia inguaribile sono macigni che pesano sulla coscienza della stragrande maggioranza della popolazione. Non stupisce quindi che, durante un progetto di sensibilizzazione nelle scuole, si è verificata la strana condizione che mette le persone con disabilità in una categoria di privilegio. Alunni e docenti hanno una percezione falsata della disabilità che si riverbera essenzialmente in un gioco di specchi sugli “scrocconi” dei “falsi invalidi”. Insomma, per le persone con disabilità la collettività spende molte risorse a fronte di una condizione ritenuta improduttiva. La scarsa conoscenza dei dati di spesa alimenta facili credenze quando queste sono diffuse con enorme potenza di fuoco da un’altra agenzia educativa quale è quella mass mediatica. Spesso ciò viene favorito e aumentato da istituzioni preposte a garantire i diritti dei cittadini indotte da un conflitto politico estraneo alla missione costituzionale di promozione dei diritti e a rimuovere gli ostacoli che si frappongono tra la persona e il pieno sviluppo umano. Il combinato disposto di un giornalismo incapace di verificare l’esattezza delle fonti, e la distorsione di un corto circuito tra battaglia politica e occupazione delle istituzioni del Paese, produce un effetto nefasto sulla popolazione che vede confermate le credenze popolari, il pregiudizio e lo stigma.
Nonostante siano parte integrante della classe dirigente del Paese, i presidi ed i docenti non sono immuni da questo tsunami culturale. Lo interpretano quotidianamente quando costruiscono i presupposti per l’esclusione degli alunni con disabilità dalla normale didattica. Presupposti che si declinano in varie forme. La più importante e la più pervasiva riguarda gli insegnanti curriculari, almeno quella parte di essi che osteggiano la sola idea di avere in classe un alunno con disabilità, la cui presenza dovrebbe indurli nel cambiare metodologie didattiche adottando la pedagogia speciale, utile tra l’altro a semplificare le metodologie di insegnamento, non i suoi contenuti.
Le altre forme sono una conseguenza di questa: il fenomeno delle cosiddette aule di sostegno, ovvero luoghi in cui vengono concentrati gli alunni con disabilità all’interno del plesso scolastico con qualche insegnante di sostegno. Nel caso degli alunni con disabilità più grave, talvolta si ricorre persino al “parcheggio” nel corridoio insieme agli ausiliari della scuola, i vecchi bidelli. Da ciò nasce anche il fenomeno tuttora esistente delle scuole speciali, luoghi che avrebbero dovuto terminare la loro funzione alcuni decenni orsono, esperienza che nessuno ha mai avuto il coraggio di chiudere.
Coloro che avevano il potere di farlo hanno riflettuto il paradigma culturale dominante accentuato dall’attività lobbistica delle entità che gestiscono quegli istituti, delle rappresentanze dei lavoratori degli stessi, nonché dalla considerazione sistematica che, tutto sommato, era meglio così, anche per le persone con disabilità. Infatti all’interno della stessa classe dirigente che determina le decisioni nell’ambito dell’amministrazione scolastica, continua a circolare la falsa idea che tra simili l’apprendimento possa essere più efficace. Confutare questa affermazione è assai facile: il principio fondativo del sistema educativo del Paese è nella crescita dell’intera comunità nazionale, e quindi nel contrasto alle disuguaglianze culturali che riflettono inevitabilmente quelle sociali. Essa però invita alla riflessione su due fronti: la diffusione e la pervasività del pregiudizio e l’utilizzo strumentale per tenere in piedi posizioni di privilegio e posti di lavoro.
L’inclusione degli alunni con disabilità nella scuola di ogni ordine e grado quindi appare come una provocazione, un’utile provocazione necessaria a scardinare paradigmi culturali, ma soprattutto a scalare la montagna del pregiudizio per una piena e buona inclusione nella società. È una scelta politica sofferta che interpreta le pulsioni più innovative della nostra società, come il pensiero di don Milani e della sua scuola di Barbiana, le esperienze modenesi e tanto altro che nel Paese ha cercato di costruire una scuola inclusiva e di tutti. Una scelta che va ribadita costantemente: l’appiattimento culturale e la standardizzazione prestazionale sono nemici da combattere quotidianamente. La complessità connessa con la dimensione del sistema scolastico produce tante esperienze diverse e talvolta contrastanti. Accanto agli elementi che determinano fenomeni di emarginazione, convivono esperienze la cui validità è portata come esempio in luoghi accademici, pubblicazioni scientifiche o eventi pubblici organizzati dalle associazioni di persone con disabilità e dei familiari (ad esempio il concorso “Le chiavi di scuola” realizzato dalla FISH – Federazione italiana per il superamento dell’handicap). Queste situazioni rischiano di assumere il connotato di “straordinarietà”, ma nel complesso rappresentano un paradigma di come sia possibile, praticabile e efficace l’inclusione, nella scuola di tutti, degli alunni con disabilità anche più grave.
Le pratiche di successo evidenziano la necessità di poggiare l’intervento educativo su un vero progetto individuale, dentro e fuori la scuola, Scuola, la “provocazione” dell’inclusione. Questo elenco in realtà riassume un approccio del sistema scolastico e della sua impostazione didattica che dovrebbe valere per tutti gli alunni. È questa la sfida dell’inclusione educativa degli alunni con disabilità: in accesso il sistema educativo presenta un caleidoscopio di condizioni individuali molto diverse, le quali con una capacità didattica innovativa possono essere restituite alla comunità come diversità individuali e non come disuguaglianze. Ciò riguarda tutte le forme di diversità, condizione economica e sociale, provenienza geografica, cultura di appartenenza, orientamento sessuale, religione e disabilità. Questa pubblicazione quindi ha il merito di riproporre la scelta politica, educativa e sociale dell’inclusione. Ha il merito di rilanciare un dibattito che rischia di affogare nella conflittualità del lavoro. Ha il merito di collocare la scuola dentro una dimensione di scelte collettive che riguardano l’immagine presente e futura che il Paese vuole assumere.
Pietro Barbieri, portavoce del Forum terzo settore,
già presidente della FISH (Federazione italiana superamento handicap)
Estratto da "L'attrazione speciale" di Giovanni Merlo.