Storia di un paradiso perduto
Vista da chi vive all'estero, la situazione dell'inclusione scolastica degli alunni con disabilità può sembrare ottimale. Ma le criticità restano tante.
Luigi ha 7 anni e si appresta al suo primo giorno di scuola. Sindrome di Down, ritardo medio lieve, una diagnosi funzionale sotto il braccio, un’insegnante di sostegno pronto ad accoglierlo durante le sue ore di presenza a scuola e una classe dove a pochi giorni dall’inizio, l’intero corpo docente si è riunito per confrontarsi e accoglierlo al meglio. Scambio tra docenti e specialisti di riferimento. Si partirà con le prime osservazioni, per poi progettare il suo Programma educativo individualizzato, e mettere in campo ogni strategia necessaria a supportare lui, e i suoi compagni. Sarà un anno colmo di soddisfazioni!
Riavvolgiamo il nastro…e ripartiamo da capo. Questo è il film che non vedrete. Se siete genitori di un ragazzo con disabilità e vivete in Italia, preparatevi a ben altra visione. Già, perché di giardini incantati come quello descritto sopra non pare esservi traccia nel nostro paese e semmai la distanza dalla norma sancita si fa siderale, giorno dopo giorno.
“Maestra perché non visiona mai i quaderni di mio figlio?” E’ la mamma di Luigi a parlare, ma stavolta del Luigi in carne e ossa, quello costretto nell’autentica scuola inclusiva all’italiana. “C’è l’insegnante di sostegno. Lo segue lui…” la risposta della sedicente insegnante. E’ in quel lo segue lui c’è tutto il senso di un’ambizione tradita, di una corresponsabilità gettata alle ortiche.
Ha un bel dire qualche mamma che ci guarda da lontano.
Giorni fa ho letto dello sfogo di una mamma italiana trapiantata temporaneamente a Berlino, del suo guardare il bel paese come a un paradiso. Tanto da insegnare al modello tedesco, poco avvezzo all’integrazione e dichiaratamente assestato sul modello di scuola speciale.
Il mio personale pensiero di fronte a questa lettura?
Cara mamma lontana, forse ne ricevi solo gli echi, ma nella scuola italiana il raggiro è presto fatto. Ci si dichiara accoglienti e inclusivi (lode alle norme d’avanguardia, le leggi 517/77 e la 104/92), ma il numero di ore di sostegno non è assolutamente adeguato alle reali esigenze dei ragazzi; sorge persino il dubbio che sia economicamente più conveniente per certa nostra amministrazione affrontare i ricorsi delle famiglie (tutto sommato poca cosa), piuttosto che provvedere con spese più ingenti.
C’è persino chi si prende la briga di attrezzare le aule disabili, “Ma mica per contenerli sia chiaro!” o di pascolare i ragazzi lungo i corridoi, quando in classe non sono graditi. Nelle migliori situazioni ci si dimentica semplicemente il senso della corresponsabilità del corpo docente, poco incline a momenti collettivi normati o semplicemente non avvezzo?
Alzino le mani le scuole che hanno un GLHI (Gruppo di lavoro sull’handicap di istituto) attivo e funzionante e alzino le mani quanti sanno distinguerlo da un GLI (Gruppo di Lavoro sull’inclusione). Infine c’è chi riduce a una didattica in solitaria l’insegnante di sostegno. E in questa solitudine si accompagnano il prode, il bambino o il ragazzo con disabilità, e il fiero, l’insegnante impossibilitato a sostenere la classe, che finisce per sostenere se stesso, nel colpevole tentativo di aspirare all’insegnamento di una sola disciplina (e dopo cinque anni di ingrato compito da sostenitore, il salto è fattibile).
A concludere l’involuzione, ci sono le più recenti proposte di separazione delle carriere: insegnanti di sostegno più formati sulle singole patologie, come vorrebbe il sottosegretario al Miur. E così, in barba alla stessa Organizzazione Mondiale della sanità, nel paradiso chiamato scuola italiana proviamo a riportare la disabilità a un fatto puramente medico, a mera divergenza dalla normalità fisica e psichica, dimentichi del valore che di contro avrebbe la condivisione di metodologie e strumenti per l'apprendimento.
Il paradiso dunque appare irrimediabilmente perduto, trasformato semmai in un luogo di espiazione, dove il gioco al rimbalzo di colpe risuona con la sua eco e dove a un genitore armato di buone speranze non restano che battaglie condotte a suon di resilienza, ma di questa si sa, da genitori di figli con disabilità ci riempiamo le tasche sin dalla loro nascita.
Rita Viotti
,
Presidente AGPD onlus
- Associazione Genitori e Persone con Sindrome di Down.