Desiderio
I bambini che seguiamo sono bambini che “attraggono, che ci attraggono in modo un po’ speciale” e in modo speciale cerchiamo strade inedite e buon senso nel tentativo di leggerne i bisogni, testimoni a volte silenziosi di diritti negati.
C'è una parola che risuona spesso tra le righe del libro “L'attrazione speciale”. Che, sebbene se non espressa, premeva evidente come sfondo di riferimento ai concetti, alle sollecitazioni agli interrogativi, alle considerazioni mai pre-giudiziali del suo autore. La parola che mi spinge a scrivere queste brevi note è “desiderio”.
Lavoro con gli educatori, le educatrici che prestano la loro professionalità in ambito scolastico. I bambini che ci affidano sono bambini con una diagnosi che prevede un accompagnamento a sfondo educativo disgiunto dal ruolo docente di sostegno preposto alla didattica.
Già l’idea di questa separazione fa riflettere. E viene voglia di sorridere se non fosse che probabilmente questo è il presupposto di ulteriori separazioni. Come se educare sia incompatibile con istruire, come se l’educazione nel suo respiro pedagogico non contenga in sé uno e cento apprendimenti i più differenti. La didattica e l’intervento educativo sembrano essere compagni di strada che non si riconoscono e in questa presunta estraneità lontano dal cercare i tratti distintivi delle diverse professionalità in un’ottica di integrazione delle competenze, decretano una gerarchia valoriale che pone l’educatore come vice insegnante di sostegno o preposto alla cura primaria e all’intervento animativo. La strada che Riccardo Massa ci ha indicato è ancora una meta da raggiungere e la presunta dicotomia tra educare e istruire è palese in moltissime scuole che attraversiamo durante il nostro lavoro.
I bambini che seguiamo sono bambini che “attraggono, che ci attraggono in modo un po’ speciale” e in modo speciale cerchiamo strade inedite e buon senso, altre volte ancora riscopriamo strade già percorse nel tentativo di leggerne i bisogni, testimoni a volte silenziosi di diritti negati….comunque sempre in ascolto.
E ancora la parola “desiderio” si riaffaccia prepotente.
Riprende forza a ogni capoverso. Perché il desiderio di cui parlo (sopito da troppo tempo) ha urgenza di un’espressione.
Giovanni Merlo ha sollecitato questa espressione e mi rendo conto che anche chi si occupa di educazione, di scuola che prima di ogni altro dovrebbe avere a cuore il diritto di tutti i bambini senza distinzione di “gravità” alcuna, cede alla tentazione di pensare che altri luoghi siano più adatti, certo separati da tutti gli altri, tra simili gravità perché un luogo separato e protetto appare come una garanzia all’efficienza progettuale, alla soddisfazione di bisogni speciali. Bisogni speciali, bambini speciali, famiglie speciali sinonimi di bisogni diversi, bambini diversi, famiglie diverse.
Non si tratta dell’umana diversità ("it’s a life and life only" canta Bob Dylan) ma di ciò che preferiamo considerare a parte di conseguenza separabile dal contesto e incapace quindi di interrogarci.
Mettersi in discussione, rivisitare quanto diamo per consolidato, rinominare i presupposti che hanno prodotto la legislazione che ha abolito le classi speciali, le scuole speciali, riappropriarci della storia e riconoscerci bisognosi di riattivare il desiderio di scoprire che l’incontro con la diversità è l’unica strada per la crescita di ognuno di noi.
L’unico incontro possibile è quello che mette in circolo azioni o come diciamo nel mondo educativo, prassi e le prassi non possono essere solitarie perché se lo sono trasudano una autoreferenzialità sterile e a lungo andare improduttiva.
La scuola ha le sue responsabilità e non voglio cedere alla tentazione di “portare altrove, portare fuori” responsabilità che toccano e coinvolgono tutti coloro che a diverso titolo si occupano di bambini con disabilità a scuola. Abbiamo perso o meglio anestetizzato il nostro desiderio d’essere garanti di un diritto, di alzare lo sguardo e mettere al centro quel bambino alla ricerca del suo desiderio nascosto, in ascolto dei desideri della sua famiglia che dal mio osservatorio professionale ha caratteristiche legate alla richiesta di ascolto, partecipazione, orientamento e accompagnamento, lontane mille miglia dalla nostra presunta capacità di indicare soluzioni definitive, troppe volte prescrittive.
Accorgersi del desiderio dell’altro significa rendersi conto d’averne di propri e avere il coraggio di nominarli e di manifestarli. Se ti senti portatore di un desiderio in questo caso professionale e di tutela di diritti di chi ha voce più sottile per farsi udire, comprendi anche che quegli stessi desideri sono i tuoi e che la diversità è un pretesto usato strumentalmente per giustificare la separazione.
Molti educatori, durante i nostri incontri di supervisione dell’intervento educativo svolto a scuola, sono spesso in preda allo sconforto per le difficoltà nel riconoscimento del ruolo, per presunte scale gerarchiche che prevedono una subalternità di mansioni e competenze. Per le difficoltà, a volte per l’erigersi di muri invalicabili su convinzioni miopi che non prevedono la messa in discussione e di conseguenza la crisi salutare che promuove il cambiamento. Questo procedere qualche volta incerto, dove è sempre necessario ridefinire, ricontrattare, rimodulare, non solo la relazione con il bambino di cui ci occupiamo (elementi necessari all’interazione educativa), ma le relazioni tra adulti all’interno del contesto, sfiancano ed è necessario tutte le volte riformulare la domanda “che fine ha fatto quel bambino? In quale parte della tua testa, del tuo cuore e delle tue mani, dei tuoi pensieri è finito?. Siamo sicuri che anche noi non stiamo precipitando verso un pensiero unico che ci vuole promotori di un’efficienza prestazionale dove le variazioni del tema predominante sono ugualmente previste e caldamente consigliate?
Gli incontri quotidiani con le educatrici e gli educatori che lavorano a scuola mi confermano che essere promotori del cambiamento è complesso eppure non vedo altra strada possibile che un’azione che sia in grado di promuovere una perturbazione sul contesto. Quanto poco ci vuole a portare delle modifiche che senza stravolgere l’intero sistema riattivano il piacere dell’interazione relazionale, e il desiderio di apprendere!
Quando parlo di contesto parlo sia del contesto fisico, sia di quello dell’interazione dove le relazioni si esprimono. La Convenzione Onu dei diritti delle persone con disabilità, ci chiede un accomodamento ragionevole (art. 2). Sarebbe sufficiente ricordarlo tutte le volte che varchiamo la porta di una classe ed osserviamo la disposizione dei banchi che esprimono una pedagogia latente orientata alla prestazione individuale piuttosto che all’apprendimento cooperativo, oppure quando ci apprestiamo a consumare il pasto nel rumore assordante di una mensa scolastica, che impedisce al bambino con disabilità e ai suoi compagni di accedere ai significati legati alla condivisione del cibo, attraverso l’aiuto reciproco, la condivisione dell’attesa, il contenimento emotivo che il gruppo sa esercitare nei momenti particolari di crisi. E questo solo per citare due facili esempi alla portata di tutti dove l’attivazione verso una trasformazione del contesto è a portata di mano.
Forse più di tutto racconta quanto una collega ha raccolto in una scuola primaria. Questo lo scambio tra un bambino di seconda elementare e la sua maestra:
Bambino: “Maestra posso andare in bagno?”
Maestra: “Adesso andiamo F. ci prepariamo, prendiamo carta igienica e asciugamano e andiamo”
……
Bambino: “Maestra posso andare in bagno?”
……
Maestra: ”Sì, F. adesso andiamo, ci prepariamo e andiamo”
……
Bambino: “Maestra posso andare in bagno?”
……
Maestra: “F. ti ho detto che adesso andiamo, poi ci laviamo le mani, torniamo in classe e facciamo merenda”
Bambino: “Maestra?”
Maestra: “Si, F.”
Bambino: “Quando il tuo adesso diventa subito?”
Ecco, forse non è più il tempo di rimandare la concretezza fatta di azioni e decisioni operative promotrici dell’inclusione a scuola di tutti i bambini. Un adesso che ha urgenza di diventare subito.
Patrizia Sordi
Coord. Area Servizi Integrativi Scolastici
Co.esa coop.sociale arl Onlus