Quell'insofferenza verso la disabilitā
Mamma di una ragazza con disabilitā, potrei raccontare centinaia di episodi di discriminazione. Ma tutto il lavoro di formazione fatto, anche nella scuola, dove č andato a finire?
Ho letto sull'edizione di Bergamo del “Corriere della Sera” l'articolo che racconta la vicenda di Miriam che aveva l'aspirazione a frequentare l'istituto Alberghiero. Nella vostra lettera al “Corriere della sera”, dite di aver provato forte sconcerto nell'apprendere che l'iscrizione di un'alunna con disabilità non sia stata accettata per problemi di trasporto e non solo.
Purtroppo, la mia esperienza mi dice che si tratta della normalità per i ragazzi con disabilità che devono scegliere una scuola superiore e per le loro famiglie. Io sono una mamma. Mia figlia Giorgia, ragazza con disabilità motoria e sensoriale, ha finito di frequentare lo scorso giugno un istituto superiore per le Scienze Umane a Lecco. Come credete che sia potuta andare a scuola? L'ho accompagnata io in macchina per cinque anni, dal lunedì al sabato. Quando potevano, mi aiutavano mio marito e mio figlio maggiore. Sono riuscita ad avere un rimborso spese per il trasporto solo l'ultimo anno, dopo aver coinvolto l'Istituto stesso e la Provincia.
Nel frattempo hanno ridotto le ore dell'educatore, da 12 a 6. Mentre le ore di sostegno oscillavano tra le nove e le undici (a seconda degli anni) anche se mia figlia avrebbe avuto diritto alle 18 ore. In alcuni istituti particolarmente illuminati, succede davvero che i ragazzi che ne hanno diritto, abbiano effettivamente le 18 ore di sostegno.
Potrei raccontare centinaia di episodi di ordinaria discriminazione accaduti anche ad altri ragazzi con disabilità amici di Giorgia. Qualche anno fa avevo scritto di questi fatti anche direttamente a Franco Bomprezzi sul blog “InVisibili”. Avevo scritto anche al vostro direttore, Giovanni Merlo, domandandogli come mai l'inclusione scolastica e sociale sia ancora così difficile dopo circa trenta anni di leggi, di sperimentazioni, di dibattiti. Ovviamente le risposte sono molte e complesse, dai tagli economici, ai corsi per insegnanti di sostegno che diventano sempre meno formativi e così via.
Ma io credo che ci sia qualcosa di più. Tempo fa ho letto su “Avvenire” l'intervista allo psichiatra Eugenio Borgna, a proposito dei casi di maltrattamento avvenuti recentemente in diverse parti d'Italia, in istituti per anziani, disabili e perfino in asili. Secondo Borgna “la possibilità di violenza negli istituti cresce in relazione al sopravvento, attorno, della indifferenza, della fretta, del fastidio per chi è fragile. Fino alla pubblica liceità dell'idea che esistano vite non degne di essere vissute. Se viene meno la coscienza collettiva che i più deboli sono degni di attenzione e di misericordia, può accadere che dalla comune perdita di valori vengano fuori, come punte drammatiche e estreme, forme di violenza...”.
La logica dei test per l'ammissione ai corsi di formazione del personale medico e paramedico (cui aggiungerei anche degli educatori e degli insegnanti) “privilegia un efficientismo e competenze tecniche, piuttosto che altre capacità umane, come la compassione e l'attenzione all'altro... la logica dei test rientra in una cultura in cui bisogna essere veloci, produrre non sprecare tempo. Chi dovrà lavorare con anziani e disabili deve essere educato in tutt'altra ottica, altrimenti rischierà di cedere al pensiero che il tempo dato a questi pazienti è uno spreco, e che sono persone di serie B... La debolezza, l'handicap, possono istintivamente generare scandalo. Si teme di vedere qualcosa che potrebbe riguardare anche noi, e allora si reagisce con la violenza. Parlerei perfino di un razzismo, di un non tollerare chi è diverso da noi”.
Io credo che questa analisi possa essere valida anche nella scuola. C'è insofferenza verso la disabilità. Come dice Miriam nella sua lettera al Corriere della Sera è un problema in più che la scuola deve affrontare. Ma tutto il lavoro di formazione fatto in questi anni dove è andato a finire? Finchè i nostri bambini e ragazzi saranno considerati soltanto come un “mezzo” per trovare lavoro le cose non miglioreranno. Quando si chiede a giovani aspiranti insegnanti di sostegno, perché scelgano proprio questa strada, molti rispondono: “Non ci piace, ma c'è la possibilità di lavorare!”. Mentre troppo spesso i sindacati della scuola difendono insegnanti indifendibili, a scapito dei ragazzi con disabilità. Una situazione in cui, tanta famiglie, non se la sentono di sporgere denuncia, anche perché sanno che il rischio è quello di un isolamento ancora maggiore.
Nel mio piccolo, ho lasciato sulla bacheca dell'associazione che frequento, la vostra lettera con il riferimento al Centro Antidiscriminazione “Franco Bomprezzi”, per quei genitori che ne avessero bisogno.
Nonostante tutto... Buon lavoro!
Caterina Landolfi