La riforma sociosanitaria in Lombardia, rischi e lacune
L'intervento del presidente di UILDM Pavia nell'ambito del convegno “Persone con disabilità: libertà di scelta, presa in carico e ... Come cambia il lavoro degli operatori sociali dopo la riforma sociosanitaria lombarda?"
Vorrei iniziare il mio intervento cercando di capire quale potrebbe essere realmente lo scopo della riforma avvenuta in Lombardia. Due le principali spiegazioni:
Se lo scopo della riforma voleva essere quello di modernizzare e innovare il welfare lombardo, mi sembra che questo tentativo abbia qualche lacuna e, forse, ci esponga anche al rischio di un ritorno al passato.
Se invece lo scopo voleva essere quello di avviare un percorso di trasformazione delle politiche sociali e sanitarie per promuovere una nuova concezione di salute più intesa come benessere dei cittadini e non come assenza di malattia allora qui non riusciamo a vedere la riforma.
Sul territorio che conosco maggiormente, quello della provincia di Pavia, il feedback che arriva da coloro che operano nel campo in esame è abbastanza uniforme. Tre gli ambiti che andrò a prendere in considerazione
1. In ambito sanitario l'obiettivo sembra essere più quello di de-ospedalizzare in quanto non ci sono più le risorse economiche necessarie a sostenere ricoveri lunghi. E che permettano, contemporaneamente, un periodo di fase post-acuta necessaria per un completo ristabilimento della persona. L'obiettivo posto in essere potrà essere raggiunto abbassando i costi di cura sanitaria con l'impiego di strutture per il post-acuto, o di cure intermedie, che dovrebbero essere attivate attraverso la creazione di nuove organizzazioni (PRESST e POT).
Dal territorio nascono dubbi:
- perché invece di ridurre il numero di giornate di ricovero ospedaliero, non si è scelto di ridurre il numero di ospedali, magari prevedendo un processo di riqualificazione territoriale degli ospedali che portasse i piccoli centri ospedalieri di territorio a diventare i futuri POT e PRESST?
- è davvero economicamente vantaggioso tenere in piedi piccoli ospedali di territorio e aggiungere nuove organizzazioni di cure intermedie?
A queste due riflessioni, aggiungo una preoccupazione legata al fatto che il tentativo di ridimensionare la spesa ospedaliera creando nuovi presidi si possa trasformare in un’arma a doppio taglio. Si andrà ad aumentare anche il rischio di uno sfasamento temporale tra i tempi di avvio dei nuovi presidi (tempi a medio-lungo termine) ed i tempi di razionalizzazione produttiva di riduzione dei giorni di ricovero che sono già operativi.
Più semplicemente, sembra che il nuovo assetto sia stato pensato con un regime a due velocità e che non abbia un salvagente che possa andare a garantire contemporaneità tra le due azioni: quella di riduzione dei giorni di ospedalizzazione e quella di realizzazione dei nuovi presidi per le cure post-acute o intermedie.
2. Per la parte della riforma che riguarda il comparto socio sanitario, il nuovo modello sembra avere qualche debolezza. L’idea posta alla base della riforma, cercare cioè di ripensare il sistema socio-sanitario puntando a rafforzare una cooperazione tra medici di base e servizio sociale può essere vista come idea vincente. Probabilmente però l'errore sta nel metodo di attuazione di questa cooperazione. Questa cooperazione deve poter nascere da un processo culturale che ponga al centro la salute del cittadino e della cittadinanza come stato di ben-essere che è possibile solamente costruire insieme.
La promozione della domiciliarità non ha visto la creazione di un piano preciso. Certamente esistono degli incentivi economici che possono agevolare la fruizione di prestazione che, comunque, hanno un costo maggiore se comparate ai costi che spesso hanno nella quotidianità della "fai da te" solitamente non regolare. Non sono stati pensati infatti dei veri e propri incentivi alla de-istituzionalizzazione, altresì invece sono apparsi nuovi pressi di lungodegenza o cure intermedie che appaiono un po' come strutture ibride a metà tra casa di riposo e ospedale.
Oggi, il tentativo della DGR 116 della Direzione Generale Famiglia, aveva dato questa indicazione di itinerario del percorso non indicando però quali fossero i soggetti protagonisti di questa nuova visione che doveva spostare l'asse di presa in carico dalle strutture ai percorsi di cura.
3. Ancora una piccola analisi di quella che può essere un'ulteriore criticità che il territorio rileva: creare un'agenzia dei controlli all'interno della governance risulta essere un ulteriore appesantimento del sistema. Dovuto esclusivamente all’incapacità dello stesso di bloccare le cattive prassi di influenza di lobby e infiltrazioni. Sarebbe stato molto più dinamico responsabilizzare maggiormente le strutture già operanti.
In conclusione, la modernizzazione del welfare che ci si aspettava dalla riforma e la conseguente maggiore integrazione tra sociale e sanitario non sembra aver trovato la fiducia di molti tra coloro che operano nell'ambito dell'integrazione socio-sanitaria rispetto alle politiche per la disabilità.
Il rischio maggiore a cui ci pone di fronte questa riforma sembra essere quello di una re-sanitarizzazione di tutto il sistema socio-sanitario. Questo rischio è dato dalla concezione di salute che ritorna ad essere concepita come assenza di malattia e non come benessere bio-psico-sociale.
Fabio Pirastu, membro del direttivo LEDHA e presidente UILDM Pavia.