La casa di Mowgli
Che sia una sola stanza, un piccolo bilocale, con la fidanzata o con gli amici. La vera sfida per la vita indipendente č trovare la casa di ciascuno.
Mattina di sole di mezzo autunno, poco prima di pranzo. Al centro diurno si chiacchiera, nell’attesa di scoprire se la ditta che gestisce il catering oggi (almeno oggi) rispetterà le ordinazioni… qualcuno incrocia le dita, altri alzano invocazioni al cielo… tutti aspettano gli spiedini di manzo e i sofficini. Ci si racconta, al centro diurno, tra un’imprecazione rivolta al Milan e una coerentissima dichiarazione d’amore alla vicina di tavolo, tra una battuta e uno stomaco che inizia a brontolare.
Chi può e sa, scandisce il passare del tempo guardando il grande orologio colorato appeso tra mille cartelloni, nel centro della parete ormai non più bianca, altri pregustano gli spiedini “che come li fa la DIPICOL non li fa nessuno”. Altri attendono il clacson di Ottavio che, anche oggi, preannuncerà l’arrivo del pranzo.
Nello spazio sospeso tra le attività e la pausa del pranzo, personaggi diversi si confrontano, con l’allegra serietà dell’ora dell’aperitivo. Operatori alcuni, persone con disabilità altri… in numero variabile, entrando e uscendo dalla scena, chi per rapide comparsate, chi per lunghi monologhi, chi in meditabondo silenzio.
E, come sempre accade, si fondono e confondono i ruoli. E i discorsi, passando da un motteggio verso Marco che dichiara il suo amore alla compagna, diventano più profondi, senza mai perdere la leggerezza e sfiorando (ma solo per un attimo) la serietà.
A me il gradito e inatteso compito di fare memoria delle parole, di trasmetterne le briciole di umanità che ne accompagnano i puntini di sospensione… a voi il compito di immaginarsi le voci, i visi ed il profumo degli spiedini che ancora non sono arrivati.
Federico: “Io sono grande, io non ho paura di niente, io sono coraggioso. Io guardo i film di paura e non ho più paura. Per diventare grandi bisogna mangiare tanta minestra e tanta verdura.”
Enzo: “Diventare grandi… andare fuori dalle palle… via da casa”
Giovanna: “Responsabilità” (è di poche parole Giovanna… ma ha un sorriso che illumina il mondo)
Priscilla: Sorride… si guarda intorno, intimorita nei suoi sedici anni. “Guardare gli altri… guardare negli occhi il fidanzato. Fare la spesa insieme”
Alessio: “Ma anche aiutarsi, uscire con gli amici… ubriacarsi. Si perché i grandi, io lo so, si ubriacano. Poi si… bisogna fare la spesa e avere i soldi per mangiare”
Mirko: “… bisogna però sapersela cavare da soli… lasciare il babbo e la mamma e cavarsela”
Alessio: “E poi bisogna studiare”
Daniela: “Diventare grandi vuol dire essere responsabili. Riflettere sulle cose, rispettare gli orari”
Federico: “Io voglio vivere in una grande casa… con un cane bello e rugoso… uno Shar pei” (non si finisce mai di imparare).
Daniela: “Dimenticavo… Si devono pagare anche le bollette”.
E come sempre accade, passando per strade non previste, si giunge al nocciolo della questione, ad argomenti che solitamente sono relegati agli spazi degli adulti, ai confronti con i servizi e con i genitori… La residenzialità, il dopo di noi, il durante noi… Argomenti e tematiche “pesanti” che attraverso la modalità giocosa, sullo stesso registro del “cosa voglio fare da grande?” svelano una prospettiva cardinale: la mia casa.
Dove l’aggettivo possessivo è precipuo del soggetto. La casa della persona con disabilità, per ciascuno degli attori è casa mia.
Enzo: “Una casa graaande” con una lunga sospensione sulla “a” che misura, da sola, almeno 300 mq “con una macchina grande, vicino alla casa dei miei figli”. E aggiunge, in rispetto al mio cuore giallo-rosso “A Roma, perché c’è Totti”.
Marco 1: “Anch’io voglio una casa a Roma… perché c’è il Vaticano e tante chiese. Ci voglio vivere con Priscilla”. Invocata, Priscilla, con una gran gomitata ristabilisce la giusta prospettiva “Ehm… ci sono i musei, il Colosseo”. E aggiunge, in dispetto al mio cuore giallo-rosso “E poi c’è la Lazio”
Marco 2: “Non capisci niente! Io voglio vivere in un agriturismo, con mio fratello e la mia minimoto da cross”
Alessio: “Io no… io voglio una villetta in una via chiusa, come mio zio. Ci voglio vivere con mia moglie e 5 o 6 figli. No… dai, scherzavo. Due figli bastano”
Enzo: “Anche io. Io voglio due figli maschi”
Daniela: “Io voglio vivere nella giungla, con gli animali e la natura. Come Mowgli. Con una macchina di quelle con le porte che si aprono verso l’alto. In una bella casa con il mio fidanzato”. Si ferma un istante, mentre io immagino una Lamborghini nella giungla… guidata da Mowgli senza patente “E con i miei genitori in una casa vicino”.
Vincent: “In Africa… sì… sì in Africa. Dove c’è il mare e fa sempre caldo. Ma sai… insieme al mio amico. A Matteo”
Valentina, intanto, sembra rattristata, anzi no, persa in un pensiero triste. Mi mette a disagio. È la più giovane dei nostri operatori e tutti noi siamo sempre molto protettivi nei suoi confronti. Cerco il suo sguardo per invitarla a parlare….
Simone: “Io voglio vivere in una casa con mamma, papà e zii. Voglio andare al mio matrimonio. Con Priscilla”
Priscilla: “Ma no… Io voglio vivere con Marco!”. Gratificata dalle attenzioni ma richiamata dalla compagna che le ricorda che è il suo turno per apparecchiare, leggiadra abbandona la scena.
Mirko: “Ci vuole una casa grande. Dove i ragazzi possano avere spazi individuali. Ma anche spazi dove vivere bene insieme. Una bella cucina. Una bella sala da pranzo. Bisognerebbe trovare i fondi.”
Federico: “Si… e allora io voglio vivere a New York, insieme a Walker Texas Ranger… o nel Texas…”
Gli spiedini arrivano… mettendo il giusto e gustoso fine alla chiacchierata.
Rimane in sospeso il disagio che mi ha mosso Valentina, la giovane collega. Per non lasciar cadere la cosa, per tutela nei suoi confronti o solo per onorare il mio ruolo e la mia anzianità, la trattengo e le chiedo ragione del suo silenzio… “Il primo pensiero che mi è venuto pensando ad una casa per i ragazzi, è quella di un luogo… un pensiero di chiusura, comunque un servizio…”. Aggiunge, Valentina, che la consapevolezza dei limiti, sia delle persone, sia dei servizi, difficilmente rende possibile immaginare la compiutezza di un percorso verso la vita autonoma ed indipendente.
Vorrei soffermarmi un po’ con lei, provare ad entrare più nel profondo della questione, ripercorrere con lei i passaggi che il nostro servizio ha già impostato con le persone con disabilità e con le loro famiglie, che lei, da poco entrata a far parte del nostro gruppo di lavoro, probabilmente ignora, vorrei condividere l’ottimismo e l’entusiasmo… ma i compiti della giovane collega e la pasta “alla contadina” che precede gli spiedini la richiamano all’ordine…
Rimane così, sospesa tra Walker Texas Ranger e il cane Shar pei, una semplice riflessione.
A Roma, a New York, a Lainate, nella giungla… piccola, grandissima… con la mamma, con la fidanzata, con la moto… la “vita indipendente” non solo è un diritto universale, ma è parte integrante dei desideri e dei bisogni di ciascuno di noi e naturalmente viene espressa non appena le si lascia lo spazio per emergere dalla quantità infinita di azioni e attenzioni (senza attribuzione di giudizio) con le quali premurosamente copriamo i “nostri ragazzi” … i quali, però, nella serenità inconsapevole e leggera di chi sente di avere una vita davanti e che li riporta costantemente al gioco del “cosa farò da grande?” sanno (e sanno raccontare) cos’è la vita indipendente… oggi un sogno di cui si ha il diritto… domani, forse, una realtà possibile.
A noi tocca curarci della notte e dell’alba che divide il sogno dalle realtà…
A noi spetta la responsabilità di raccogliere le aspettative, i desideri, i sogni. Farli nostri e renderli la nostra vera “mission”… Questa responsabilità è nostra (e lo era anche prima dell’entrata in vigore della legge sul dopo di noi).
Perché la vera sfida non è trovare una casa per tutti, ma trovare la casa di ciascuno.
E se pensiamo alle nostre di case, forse riusciamo a definire meglio il processo che siamo chiamati ad attivare.
La casa è il luogo in cui si torna e da cui si parte.
È il luogo dove teniamo le cose davvero care, i ricordi su cui è costruito il nostro presente, i progetti sui quali costruiremo il nostro futuro.
La nostra casa ci assomiglia, ci rappresenta (o almeno facciamo il possibile perché sia così)
Della casa scegliamo il colore delle pareti, il tipo di illuminazione, la disposizione dei mobili (anche se sono pochi e scassati). E scegliamo soprammobili, divani in pelle bianca, corrimano in legni recuperati in giro per il mondo…
La casa è il luogo in cui decidiamo chi far entrare, chi ospitare e a chi negare l’accesso.
E la dimensione non sempre ci importa
E alle volte la nostra casa è una cameretta, in casa dei nostri genitori
O in un appartamento condiviso con amici e compagni
Ma è la nostra cameretta, dove suoniamo la musica che ci piace di più, con un letto che decidiamo quando rifare, e come… del quale scegliamo il colore delle lenzuola…
E il dopo di noi non è solo casa ma realizzazione
E noi che siamo qui, oggi, non abbiamo atteso che i nostri genitori morissero per iniziare a realizzarci…
Per scegliere “cosa fare da grandi”
E invece lasciamo che le persone con disabilità di cui ci occupiamo restino sospese…in attesa di una opportunità… di una legge… di un finanziamento… di un progettino
O magari proviamo… sperimentiamo… facciamo “annusare” spazi di libertà… che poi si chiudono, quasi fossero strappi in una più rassicurante routine.
Forse ci manca il coraggio per permettere che tutti facciano gli sbagli che abbiamo fatto noi, che corrano i rischi che abbiamo corso noi, e che assaporino le gioie che abbiamo gustato noi.
Forse ci manca l’onestà per ammettere che, se permettiamo alle persone di autodeterminarsi, loro potrebbero essere felici, anche senza di noi… e a noi non resterebbe altro da fare… non resterebbe altro potere da esercitare
Oppure potremmo accettare questo rischio ed essere semplicemente cronisti di una realizzazione compiuta, spettatori di uno spettacolo di cui abbiamo contribuito a tessere la trama, lavorando alla sceneggiatura, con il nostro nome scritto in piccolo, tra i titoli di coda, mentre campeggiano a lettere giganti i nomi delle persone con disabilità, finalmente protagonisti della loro storia. Si spengono le luci, inizia il film della vita. La loro. Applausi!
Marco Zanisi