Persone con disabilità, escluse e zittite nell'America di Trump
Proponiamo un articolo pubblicato sul sito del New York Times: la riflessione di una giornalista con disabilità di fronte alle politiche del neo-presidente Usa.
Sono una donna. Ho una disabilità fisica. E non sono mai stata così tanto spaventata.
Sono seduta qui, di fronte al mio computer e la scritta “Page not found” (“Pagina non trovata”) lampeggia sul sito della Casa Bianca. Sbarro gli occhi mentre il mio cuore sembra fermarsi. Mi sono sentita come se mi avessero tirato uno schiaffo mentre mettevo a fuoco il fatto che la sezione “Disabilità” era stata rimossa dal sito della Casa Bianca all’indomani dell’insediamento di Donald Trump. Appena 12 ore prima, subito dopo il giuramento, Trump aveva parlato di responsabilizzare il popolo americano: “Oggi non stiamo semplicemente trasferendo il potere da un’amministrazione a un’altra o da un partito a un altro – ha detto Trump -.Ma stiamo trasferendo il potere da Washington DC e lo restituiamo a voi, ai cittadini americani”.
Ma non sono state queste le parole che ho sentito, mentre fissavo lo schermo del mio computer, sentendomi arrabbiata e sconfitta. Quello che sentivo era quella sottile vocina che ho sentito per tutta la mia vita, in fondo alla mia testa. Quella vocina che ha cercato di sminuirmi, facendomi dubitare di me stessa, che ha messo in discussione il mio valore e il mio posto nella società.
“Tu non vali niente”
“Tu non sei una persona”
“Tu non lo meriti”
Durante la sua campagna elettorale e durante la sua presidenza, questo è stato il messaggio che mi ha mandato Donald Trump. E questo non va bene.
Una ricerca sul sito della Casa Bianca delle parole “Americans with disabilities act” non ha prodotto risultati. E nemmeno il suggerimento “Riprovare inserendo meno termini di ricerca” ha funzionato. Una versione archiviata delle pagine dedicate alla disabilità sul sito della Casa Bianca sotto l’amministrazione Obama si può trovare qui
Ho sentito gente dire: “Beh, l’amministrazione Trump sta solo aggiornando il sito. Tutte le sezioni torneranno al loro posto”. Potrebbe anche essere così, ma è davvero quello il punto?
Come sappiamo, il neo presidente non si è limitato a mostrare una totale mancanza di conoscenza sui temi dei diritti delle persone con disabilità e il ruolo che le persone con disabilità possono giocare in una società inclusiva. Trump è sempre stato sprezzante e volgare nei nostri confronti. Tutti lo abbiamo visto scimmiottare i movimenti di Serge Kovaleski, giornalista del Times, così come lo abbiamo visto negare la gravità dell’accaduto così come il suo rifiuto a scusarsi. E da parte del presidente non abbiamo più sentito nessun intervento su di noi, sulle persone con disabilità.
Sebbene io non possa parlare per Kovaleski, mi posso però mettere nei suoi panni. Sono nata con la “Sindrome di Freeman-Sheldon”, una malattia genetica che colpisce muscoli e ossa. Ho subito 26 interventi chirurgici prima dell’adolescenza. Ma mi sono anche diplomata in giornalismo al college e lavoro come reporter. Ci sono state diverse occasioni in cui mi sono sentita come se la mia sedia a rotelle oscurasse tutto quello che c’era attorno a me. E ci sono state volte in cui ho potuto avvertire la sorpresa dell’intervistato al nostro primo incontro. Non vorrei pensare che il trattamento riservato da Trump a un reporter sia in qualche modo indicativo di come la gente vede le persone con disabilità.
A causa della mia condizione, ho passato buona parte della mia vita sentendomi trascurata, esclusa e non considerata. Ci sono state persone che si sono fatte un’opinione sulle mie competenze semplicemente lanciandomi uno sguardo. Ci sono state persone che hanno parlato al mio posto – o peggio, dando per scontato che io non potessi comunicare e facendo domande su di me alle persone che mi stavano accanto, come se io non ci fossi. Se solo queste persone si fossero prese la briga di conoscermi, avrebbero potuto scoprire alcune cose interessanti. Ad esempio il fatto che mi sono diplomata con lode, ho ottenuto una laurea in giornalismo e ho lavorato come blogger e giornalista freelance per quasi dieci anni.
Se potessi parlare direttamente a Trump gli direi questo: le parole hanno un significato. Le parole hanno un potere. Lei esercita quel potere ogni volta che apre bocca e, che lei se ne accorga o no, lei ha la responsabilità di usare quelle parole in maniera consapevole e con saggezza. Avendo ben in mente gli interessi delle persone. Usando quelle parole in modo da offendere o in maniera sprezzante avrà l’effetto di ferire alcuni cittadini americani. E quelle ferite dureranno più a lungo rispetto a qualsiasi conferenza stampa o slogan. Internet non dimentica mai.
Siamo nel 2017 e la comunità delle persone con disabilità ha percorso molta strada. Anche se in alcune situazioni mi sento come se mi trovassi negli anni Cinquanta. Non è facile trovare un modo per risolvere questa situazione. Un cambiamento inizia dal modo con cui la società vede le persone con disabilità e non possiamo più essere visti solo come persone incapaci di prendersi cura di se stessi. Sempre più spesso le persone con disabilità prendono un posto nel mondo, proclamano la propria dignità e chiedono il rispetto dei propri diritti. In una parola: viviamo le nostre vite. Ma soprattutto, non ce ne andiamo da nessuna parte. Circa il 20% delle popolazione mondiale ha una forma di disabilità, ignorarci sarà sempre più difficile.
L’ho già detto, ma vale la pena ripeterlo. Quello che Trump ha fatto è stato bullizzare e umiliare le persone nel modo peggiore possibile, ovvero giudicandole. Penso ai giovani, ai ragazzi con disabilità. Trump ha mai pensato a loro? Ha mai pensato a un ragazzo in carrozzina vittima di bullismo ogni giorno a scuola? E a quel ragazzo che ha passato più tempo in ospedale che sul campo da gioco? E che dire di quella giovane e bella donna con problemi di autostima che cerca disperatamente di venire a patti con la sua disabilità? Se il bullismo e la derisione vengono considerati accettabili, le persone con disabilità e le persone vulnerabili possono essere indotte a pensare di esserselo meritato. E so per esperienza che questo è un messaggio molto pericoloso da mandare.
La verità è che ho paura. Ho paura di vivere in un Paese che evita le persone con disabilità come se non esistessero. Ho paura di vivere in un Paese che manda messaggi di questo tipo e pensa che sia perfettamente accettabile. Perché sicuramente non va bene e non andrà mai bene.
Se Trump veramente ha l’obiettivo di restituire il potere al popolo americano, allora dovrebbe sedersi con le persone con disabilità e ascoltare – ascoltare davvero – le loro storie e le lori raccomandazioni per il futuro.
Il mio mantra è sempre stato “Io sono una persona” e questa frase non è mai stata così vera. Si, io sono una persona. Io valgo. Le persone con disabilità valgono. Io non smetterò mai di lottare per I nostri diritti e contro I bulli. Mi sto riprendendo indietro il mio potere e voglio che il presidente Trump lo sappia.
Melissa Blake
Twitter: @melissablake
La versione originale dell'articolo, in lingua inglese, è consultabile sul sito del New York Times