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Persone con disabilitą

A cura di Ledha

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7 Marzo 2017

FNA 2016: problemi in vista?

di Marco Bollani e Giovanni Merlo

Desta preoccupazione la scelta di utilizzare l'ISEE ordinario per la definizione della graduatoria. Un'occasione mancata per fare un salto di qualitą. Anche sul concetto di Vita indipendente.

Con la DGR 5940, la Giunta Regionale ha avviato il programma operativo di attuazione del Fondo per la Non Autosufficienza 2016. Alcune scelte e questioni interrogano in modo significativo il mondo della disabilità.

L’ampliamento dei potenziali beneficiari della misura B1
Come è noto, il decreto statale ha definito in modo dettagliato la condizione di disabilità considerata “gravissima” includendo anche situazioni fino ad ora escluse come, ad esempio le persone con autismo (livello 3 DSM – 5) e le persone con diagnosi di ritardo mentale grave o profondo. Il nuovo programma operativo prende atto di questa nuova situazione, prevedendo un incremento delle richieste, a fronte di trasferimenti statali sostanzialmente invariati.

Ciò che salta immediatamente all’occhio è che Regione Lombardia decide di non stanziare risorse proprie per ampliare la platea dei beneficiari, ma si limita ad individuare dei criteri per cercare di selezionare al meglio i beneficiari di questa misura di sostegno. Due scelte appaiono invece significative e condivisibili: la decisione di destinare il 60 % del budget disponibile a rispondere alle richieste dei “gravissimi” (misura B1) e quella di garantire la continuità alle persone già prese in carico negli anni precedenti. E’ facile prevedere, quindi, che gran parte delle risorse disponibili siano già di fatto bloccate e che non si avranno margini per sostenere nuovi interventi. In ogni caso, è chiaro che si andranno a formare delle graduatorie, all’interno delle quali identificare chi saranno i beneficiari e chi invece andrà a comporre una lista di attesa, confidando in un incremento, più volte annunciato, del Fondo nazionale.

ISEE ordinario: una scelta preoccupante
Il criterio scelto per la definizione della lista di attesa è quello della capacità di spesa, attraverso lo strumento dell’ISEE: una scelta anche questa ragionevole e comprensibile, non potendo utilizzare come criterio alternativo quello dell’intensità del bisogno essendo tutte queste persone per definizione considerate “gravissime” (aggettivo superlativo assoluto). La sorpresa è che la formazione della graduatoria che determinerà chi avrà effettivamente accesso alla misura B1 verrà determinata dall’ISEE ordinario, cioè quello familiare. Una scelta motivata dalla necessità di salvaguardare le richieste di accesso dei minori, con disabilità per cui il Dpcm 159/13 prevede che venga sempre utilizzato l’ISEE ordinario. L’intento di salvaguardare le famiglie “giovani” è apprezzabile, ma la modalità scelta è tutt’altro che efficace. Infatti lo stesso Dpcm 159/2013 stabilisce con chiarezza che, nel caso di misure che riguardino l’accesso a servizi e benefici di carattere sociale, socio-assistenziale e sociosanitario in favore delle persone con disabilità maggiorenni, si debba sempre utilizzare come strumento di misurazione della capacità di spesa, l’ISEE sociosanitario (ristretto). Dopo un primo periodo di indecisione, la grandissima parte dei regolamenti dei Comuni lombardi rispettano ora questa prescrizione. Non sono, del resto, previste eccezioni: l’argomento che, in questo caso, si tratti non di regolare l’accesso al beneficio ma “solo” la formazione della graduatoria è, con tutta evidenza, un argomento debole che non reggerebbe un eventuale e molto probabile giudizio della Magistratura. E’ infatti facile immaginare che se uno o più tra gli esclusi dalla graduatoria a causa di un ISEE ordinario elevato decidessero di ricorrere per via legali, non solo otterrebbero facilmente soddisfazione ma anche, bloccherebbero l’intero iter applicativo della misura, con grave danno per le tutte le migliaia di persone con disabilità coinvolte.

Una preoccupazione che le associazioni hanno già presentato all’attenzione della Giunta regionale senza ottenere, per il momento una risposta positiva.
Una scelta diversa e più efficace, sarebbe stata quella di utilizzare, per la formazione della graduatoria, l’ISEE sociosanitario, prevedendo la formazione di graduatorie separate tra maggiorenni e minorenni, al fine di salvaguardare eque condizioni di accesso per tutti alla misura.
Fino a qui le preoccupazioni. Complessivamente è però possibile definire questo programma operativo una occasione persa per far avanzare di qualità l’impianto complessivo del welfare sociale lombardo.

Vita indipendente: una scelta ancora per pochi?
Le definizioni degli interventi è infatti rimasta ancora quella del 2013, senza tener conto dello sviluppo delle riflessioni all’interno del mondo della disabilità e senza considerare gli esiti effettivi che il FNA ha avuto in Lombardia negli ultimi tre anni (si veda un precedente commento). La questione più significativa ruota attorno alla definizione stessa di vita indipendente, da tempo al centro dell’analisi delle associazioni e che è anche stato oggetto di ampio dibattito nel corso dell’ultima Conferenza nazionale sulle politiche per la disabilità, tenuta a Firenze lo scorso settembre.

Come negli anni precedenti, anche nella DGR 5940, è stato infatti previsto che le risorse del FNA possano anche sostenere progetti di vita indipendente purché siano “di persone con disabilità fisico-motore … che intendono realizzare il proprio progetto senza il supporto del care giver familiare, ma con l’ausilio di un assistente personale, autonomamente scelto e con regolare contatto”. Sempre in continuità con le misure degli anni precedenti, anche in questa occasione 1) si esclude la possibilità per le persone con disabilità intellettiva di vedersi assegnato il “buono sociale mensile fino ad un massimo di € 800 per sostenere progetti di vita indipendente per realizzare il proprio progetto senza il supporto del caregiver familiare,…; 2) si limita la possibilità di cumulare i benefici previsti dalla misura B1 con quelli della misura B2, solo “nelle situazioni di vita indipendente … a sostegno dei costi relativi all’assistente personale regolarmente assunto”.

Si tratta di scelte di solo apparente buon senso ma che cozzano con l’evoluzione culturale, scientifica e normativa del concetto stesso di vita indipendente e che stanno creando numerosi problemi di applicazione. Anche in Italia, infatti, dopo la ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, non è più possibile effettuare l’equazione “Vita indipendente = Persone con disabilità fisico motoria che decidono di andare a vivere da soli con un assistente personale”.

L’articolo 19 della “Convenzione” stabilisce che la vita indipendente e l’inclusione sociale sia un diritto di “tutte le persone con disabilità”. E’ l’unico passaggio di questa norma, in cui gli estensori della Convenzione hanno sentito la necessità di rendere esplicito quello che nel resto del testo è implicito, ovvero che i diritti sono gli stessi per tutte le persone con disabilità indipendentemente dal tipo di menomazione. Evidentemente vi era consapevolezza che nel caso del diritto alla vita indipendente questo concetto dovesse essere rafforzato, a scanso di equivoci. Sempre l’articolo 19 chiarisce che l’assistenza personale sia solo uno degli strumenti a disposizione per garantire, non la vita in solitudine, ma “di vivere nella società e di inserirvisi e impedire che siano isolate o vittime di segregazione”.

In questo contesto, le prescrizioni ribadite nella DGR 5940 appaiono non più adeguate: infatti, non a caso, suscitano problemi e perplessità non solo teorici, ma anche e soprattutto nella loro implementazione concreta. Solo a titolo di esempio, vi sono già numerosi esempi, anche nel territorio lombardo, di persone con disabilità intellettiva che vivono esperienze di vita che possono essere assolutamente definibili come “indipendenti”. Allo stesso modo vi sono persone considerate con “disabilità gravissima” che non hanno possibilità e interesse di andare a vivere da sole ma che, per la realizzazione del loro progetto di vita, potrebbero necessitare di un supporto supplementare a quello previsto dalla B1.

Alla luce di queste considerazioni sarebbe stato opportuno dare massima apertura alla possibilità di utilizzare queste risorse all’interno di progetti di vita indipendente variamente intesi, responsabilizzando gli enti locali, le associazioni e gli enti di terzo settore territoriali e le stesse persone con disabilità e i loro familiari sulle possibilità e anche nuove modalità concrete di promozione e rispetto del concetto di Vita indipendente, così come descritto dalla “Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità”.

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