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Persone con disabilitą

A cura di Ledha

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12 Marzo 2017

Psichiatria e neuropsichiatria: scienze fragili, ma che si misurano con il contesto

di Antonio Bianchi

Il volume "Figli fragili" di Stefano Benzoni interroga genitori e non sul tema della salute mentale. Con un discorso che sfida il lettore, cercando di dipingere la complessitą della materia.

Esce, pubblicato dall’editore Laterza, il libro Figli fragili, di Stefano Benzoni, neuropsichiatra dell’infanzia e dell’adolescenza e psicoterapeuta. Mi sono sentito interrogato, nella veste di genitore e di persona interessata al tema della salute mentale: ho acquistato l’ebook e l'ho letto. È un libro che mi colpisce per la sincerità quasi disarmante con cui l’autore dichiara la fragilità della sua scienza, quasi a minarne le basi epistemologiche.

C'è il rischio di fermarsi ai primi tre capitoli dove le debolezze degli assunti teorici, dei riferimenti scientifici oltre che delle prassi cliniche, sono analizzate con una luce forte che ne fa risaltare ogni ruga, anche quelle che uno sguardo comunque sincero, ma solamente un po' più morbido, lascerebbe in secondo piano. C'è il rischio di pensare che l’argomentazione di Stefano Benzoni sia distruttiva, che si inserisca in quei filoni, che lui stesso cita nel libro, di antipsichiatria moderna, - per distinguerla dalla tradizione critica di Basaglia, un gigante dice l’autore, su cui oggi nani si arrampicano per dire qualsiasi cosa - dove la critica a Big Pharma diventa l'argomento per validare ogni sciamanesimo o PNL o Comunicazione facilitata.

Ma si sbaglierebbe volendo cogliere questa distruttività, molto. Stefano Benzoni è invece appassionato del suo lavoro e della sua scienza, ne ha una concezione politica, nell’accezione di Lorenzo Milani.

È un discorso che sfida il lettore, che non propone una narrazione semplice, con buoni e cattivi ben distinti, anche se qualche cattivo ogni tanto viene citato. Cerca di dipingere la complessità, e in questo tentativo non può che dire e in parte anche contraddire.
 
Il libro risulta quindi anche un terreno paludoso, dove il piede non sa bene cosa troverà, appoggiandosi, incerto. Un terreno paludoso, da affrontare e attraversare. Per fare cosa? Per provare a dare una risposta alla sofferenza delle persone, dei ragazzi, per permettere di stare, nel contesto sociale, nel miglior modo possibile. Non assecondando la liquidità della società, la sua per molti versi inutile accelerazione e il moltiplicarsi frattale delle connessioni a cui non si riesce a dedicare attenzione sufficiente. Ma tenendo conto di questa realtà, a cui il bambino, il ragazzo, l’adulto partecipano e con cui necessariamente si misurano e da cui vengono misurati. Avevo trovato un analogo riconoscersi debole per poter incontrare l’altro, in quel caso nella sua follia, nel libro "Amore mio nemico", di Mario Isotti. Lì l’autore presentava il suo scritto come “l'esperienza di una terapia psicanalitica vissuta come atto d'amore e di rapporto umano attraverso un viaggio angosciante e felice nelle immense profondità del mondo schizofrenico”.

Forse è questo che permette un incontro fecondo, anche fra neuropsichiatra e ragazzo, bambino, genitore. Forse è questo che più mi colpisce di questo libro. È un discorso sulla relazione umana, sul riconoscersi reciproco. Su tutta la serietà nel volere dare fondamento al proprio agire e tuttavia continuamente prenderne le distanze, per coglierne i limiti.

Personalmente conosco solo a un livello esterno alcuni filoni di confronto a carattere scientifico e in modo più ampio culturale che il libro esplora, a cui l’autore accenna, a cui contribuisce nel suo libro. D'altra parte una serie di situazioni che affronta, di temi che tocca, mi interessano molto come genitore di un figlio con disabilità intellettiva, come dirigente associativo di Ledha e del Coordinamento bergamasco per l'integrazione, e semplicemente come persona, come uomo che si interroga sulla realtà che abita con gli altri.

È vero che le storie da cui l’autore parte in alcuni capitoli per dire della fragilità dei sistemi sociali, e della psichiatria e neuropsichiatria stesse, si collocano rispetto alla salute mentale su un terreno non così immediatamente connotato come quello della disabilità, che comunque costituisce esso stesso un universo. Anche se nel libro la disabilità non è protagonista primaria non è difficile cogliere tutti gli aspetti che valgono anche per questo universo, il rapporto dei professionisti con il proprio sapere, la relativizzazione di questo sapere, la possibilità o l'opportunità, come l’autore dice, di rendere leggibile anche agli interlocutori questa riflessione sulle proprie fragilità e fondamenti teorici, la necessità comunque, dopo avere riconosciuto tutti i limiti del proprio agire di affermarne anche le potenzialità, e, infine, e soprattutto, ciò che dice rispetto alla collaborazione con le famiglie e il ragazzo e bambino, come protagonisti della propria storia, e la considerazione del contesto come oggetto di intervento, di cura, di ascolto.

Gli ultimi due capitoli sono per me particolarmente interessanti, per le riflessioni che si stanno facendo anche a livello associativo, sulla pressione che stiamo facendo perchè si esca dalla logica dei centri attualmente accreditati, parlo di CDD, CSE, CSS e le altre sigle definite dal processo di revisione sociosanitaria, non solo di quest'ultima legge regionale. Stiamo insistendo affinchè si possa superare questa rigidità di proposta, che non risponde alle aspettative di vita partecipata e piena delle persone con disabilità, ma che si ferma a livello assistenziale, magari con molte proposte anche pregevoli, con sforzo creativo degli operatori, ma sempre in spazi in qualche modo segregati. E inoltre non è sostenibile.

Su questo versante sono in corso delle sperimentazioni del budget di salute, all'interno del tema del welfare di comunità, e anche a livello nostro bergamasco si sta lavorando con la cooperazione e il sindacato per portare proposte in questo senso, nel focalizzare il tema della qualità della vita adulta delle persone con disabilità. Gli ultimi due capitoli mi sembrano portare un contributo prezioso rispetto a questo nostro confronto, alla possibilità di mettere a fuoco gli elementi significativi. E di considerare anche i riferimenti che Stefano Benzoni cita, le esperienze in atto. Come per il budget di salute sono molto significative le esperienze presentate tempo fa da Fabrizio Starace, proprio in Ledha.

"Figli fragili" ha anche un registro che interroga personalmente, oltre che il contesto sociale. Come padre, come persona. Dove stiamo andando, quale valore diamo al nostro tempo, alle relazioni che viviamo. Nel rapporto con i nostri figli. Io ne ho due, grandi: Irene di 23 anni e Pietro di 19. Un tempo quello trascorso con loro che sento come la parte più intensa della mia vita.
C'è stato e c'è un continuo interrogarmi sul tema del rapporto con loro, il rispetto per la loro alterità e contemporaneamente la responsabilità per una presenza adulta, che accompagna, che ascolta, che orienta anche, quando necessario. Nel film che ho visto di recente con Pietro, Captain fantastic, ci sono alcuni di questi elementi di riflessione, su quanto possa essere libera un'educazione, quanto sia necessario o opportuno lasciarsi interrogare anche da tutto ciò che intorno si muove, magari anche di completamente sgradevole.

Domande poste dal libro e dal film, che stanno lì, davanti. Guardarle, soprattutto insieme, fa bene.

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